S. Messa
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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-07-19 ad oggi 2011-08-04 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)2010-09-22 PARTICELLE Nuovo fenomeno al Cern "Forse è materia Big Bang"Il plasma primordiale comparso subito dopo la nascita dell'universo potrebbe essere stato ricreato e osservato nell'acceleratore di particelle di Ginevra. L'esperimento coordinato da un italiano, Guido Tonelli 2010-09-19 Avvera' nella notte tra lunedì e martedì Passaggio ravvicinato di Giove Il più grande pianeta del sistema solare a 592 milioni di km. E' da 50 anni che non accadeva |
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2010-08-03 ASTRONOMIA Niente Big Bang, niente fine Nuova teoria per l'UniversoIl nostro cosmo non ha avuto un momento iniziale e non morirà: è in continua evoluzione, mentre massa, tempo e spazio possono convertirsi l'uno nell'altro. Fa discutere lo studio di un ricercatore di Taiwan, che permette di risolvere molti misteri, ma presenta alcune incoerenze di LUIGI BIGNAMI 2010-07-19 LO spazio visto da herschel Svelate le prime mappe del cosmoStraordinarie immagini dal più grande telescopio spaziale mai costruito A sinistra, l'immagine di una galassia a spirale nell'ottico (sopra) e nell'infrarosso (sotto). A destra, il confronto ottico e infrarosso in una galassia ellittica (Da Inaf). MILANO - Galassie antichissime, lontane 10 miliardi di anni che appaiono come gocce luminose nel buio del cosmo, il primo ritratto di una culla di stelle a soli 1.000 anni luce dalla Terra, molecole di acqua e altri composti tutti indizi dell'esistenza di pianeti nella nebulosa di Orione: sono i primi risultati scientifici del più grande telescopio spaziale mai costruito, il satellite Herschel dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa). |
Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..
Il Mio Pensiero
(Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):……
Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-07-19 ad oggi 2011-08-04 |
AVVENIRE per l'articolo completo vai al sito internet http://www.avvenire.it2011-04-09 6 aprile 2011 DIBATTITO Ma il cosmo ha una legge superiore? Ricostruire la storia dell’universo e della vita sulla terra rappresenta una delle più affascinanti imprese per la mente dell’uomo. Non è solo per appagare la curiosità di sapere, ma per gli interrogativi che sorgono sul senso della esistenza. Si è cercato di farlo fin dall’antichità con i racconti di carattere mitologico. Oggi la scienza può dire qualcosa in base allo studio della natura. Si parla di evoluzione dell’universo a partire da inizi molto semplici, il Big Bang, 13,7 miliardi di anni fa,; di evoluzione della vita sulla terra a partire da circa 3,5 miliardi di anni fa con i batteri. C’è stata una complessificazione della materia dapprima a livello fisico e chimico poi a livello di viventi. È un modo di vedere che trova appoggio in tante osservazioni (dallo studio delle aggregazioni atomiche e molecolari, alla documentazione fossile, alle somiglianze morfologiche e biomolecolari fra le varie specie viventi). Charles Darwin ha spiegato l’evoluzione della vita con la selezione naturale operante sulle variazioni spontanee delle specie. Il processo evolutivo si presenta complesso e articolato. La storia della vita non è lineare. La sua rappresentazione mediante un albero con varie ramificazioni sembra non corrispondere a quanto è avvenuto. L’immagine del corallo (per la quale Darwin manifestava interesse) potrebbe essere più fedele. Si individuano delle direzioni di sviluppo, alcune delle quali si sono arrestate e si sono estinte; altre sono ferme a molti milioni di anni fa e si ritrovano anche oggi; altre hanno portato attraverso varie tappe ai viventi che oggi conosciamo. Fra di esse si riconosce la direzione evolutiva dell’uomo che si individua nel ceppo dei Primati 6-7 milioni di anni fa e culmina nel genere Homo intorno a 2-2,5 milioni di anni fa. Nella crescita della complessità è fuori discussione che vi siano delle direzioni. Ma per quali cause? Possono assumere qualche significato? Si tratta di processi che si sviluppano all’insegna della pura casualità, per cui è la selezione naturale, che, come un grande demiurgo, realizza la diversità dei viventi utilizzando il materiale che via via poteva presentarsi? Alcuni parlano di autoorganizzazione della materia e della sostanza vivente in forza di relazioni intercorrenti fra molecole, macromolecole e cellule. Ma per quali proprietà o meccanismi? La pura casualità degli eventi non può spiegare la crescita della complessità. Vi sono leggi della fisica e della chimica che regolano le relazioni fra i corpi. Esse possono favorire nuove strutture o fortunate combinazioni capaci di replicarsi. Leggi e regole d’ordine debbono essere alla base dei processi evolutivi. È quello che viene sempre più messo in evidenza dagli studi della biologia dello sviluppo. In passato si parlava di ortogenesi, nel senso di processi evolutivi orientati. Monod parla di ortoselezione per evitare l’impressione di una direzionalità voluta dall’esterno: tutto è realizzato dalla selezione naturale. Teilhard de Chardin, Bergson e altri ammettono una forza che muove verso le novità del processo evolutivo. Il problema è complesso e dovrebbero evitarsi certe semplificazioni in cui cadono molti darwinisti riferendo tutta l’evoluzione a un modello evolutivo che ben si adatta alla genetica di popolazioni (microevoluzione). Purtroppo non siamo ancora in grado di spiegare in modo soddisfacente perché alcuni geni regolatori di analoghe funzioni e parti (come quelli responsabili dello sviluppo segmentale del corpo) si ritrovino negli Artropodi e nei Vertebrati, sviluppatisi a distanza di tempo oppure perché si osservino fenomeni di convergenza in serie fileticamente e geograficamente lontane. Nello stesso tempo è certamente da ammettersi la casualità nella storia della vita. Vi sono eventi di tipo deterministico, anche se non prevedibili, legati a fattori della natura, come quelli climatici e geologici. Vi sono eventi che consideriamo casuali perché non ne conosciamo le cause o non sono prevedibili con i mezzi a disposizione (come le mutazioni geniche). Vi sono eventi casuali che si legano a due serie di cause indipendenti. Vi sono eventi che si inquadrano nella probabilità statistica. La casualità in biologia non è una legge, ma esiste e la si ritrova nel corso della evoluzione. Essa si colloca nel temporalità e può acquistare un significato. Non avrebbe senso parlarne come se non rientrasse anch’essa nel piano provvidenziale di Dio creatore. Ma la conformazione spaziale delle molecole che consentono la vita (dall’acqua agli acidi nucleici), le strutture ordinate o programmate (come l’informazione contenuta nel Dna o i programmi dell’embrione), il rapporto tra struttura e funzione, presuppongono un principio finalistico o teleologico che nessuno può contestare. Monod e Jacob parlano di teleonomia per evitare possibili riferimenti a un finalismo della natura. Ayala ammette una teleologia interna, escludendo una intenzionalità esterna. Vi sono nella natura leggi o regolarità descritte dalla fisica, come quelle che regolano l’attrazione dei corpi. Vi sono proprietà intrinseche alla materia e alla sostanza vivente, che seguono leggi o regole d’ordine che solo in parte conosciamo. Se vi sono leggi è da ammettersi una intenzionalità esterna riconducibile al Creatore. Il naturalismo riduzionista lo esclude, ma non con delle prove scientifiche. Molti filosofi e scienziati (Einstein, Flew, Davies, Barrow, Lennox, Collins, eccetera) non esitano a riferire la realtà a una mente superiore. La natura dimostra una razionalità intrinseca e potenzialità di cambiamento in relazione anche all’ambiente. L’insieme che ne risulta finisce per acquistare un senso aprendo a una visione finalistica. Ci muoviamo però in una interpretazione filosofica, che emerge in modo particolare se guardiamo all’uomo. La sua direzione evolutiva è tutta peculiare ed è segnata da una crescita di cerebralizzazione che non ha confronti con le altre specie, come è stato sottolineato da molti scienziati ( Teilhard de Chardin, Jean Piveteau, Dobzhansky e altri). Ad essa si congiunge il comportamento segnato dalla cultura, che denota intelligenza astrattiva e autodeterminazione e fa dell’uomo l’unico essere che ha coscienza di sé e delle cose. In una visione teologica che riconosce alla creazione un’autonomia nelle cause seconde, si può cogliere a posteriori un finalismo generale che si realizza secondo un progetto superiore, inclusivo della casualità. Resta la peculiarità dell’evento uomo in cui le causalità di ordine naturale vengono arricchite da Dio della dimensione spirituale con modalità non descrivibili dalle scienze naturali. Fiorenzo Facchini
2011-02-02 2 febbraio 2011 SCIENZA Nuovo sistema solare a 2mila anni luce dalla Terra A 2mila anni luce dalla Terra c'é un sistema solare composto da sei pianeti, cinque dei quali hanno dimensioni confrontabili con quelle della Terra. Lo ha scoperto il telescopio spaziale americano Kepler specializzato nella caccia ai pianeti "sosia" della Terra. Il sole attorno a cui ruotano i pianeti è la stella Kepler-11. "È una scoperta importante e molto interessante perché sappiamo molto poco su altri sistemi solari con pianeti relativamente piccoli, dalle dimensioni simili a quelle della Terra": così l'astrofisica Margherita Hack ha commentato la scoperta del nuovo sistema solare dal telescopio Kepler della Nasa e al quale Nature dedica la copertina. "Finora - ha osservato Hack - conosciamo molti pianeti extrasolari, ma scarseggiano le scoperte di pianeti simili alla Terra. Questo accade perché i pianeti che hanno dimensioni simili alla Terra sono piccoli e più difficili da scoprire. È molto interessante che questo sistema solare sia relativamente simile al nostro". Tuttavia, ha aggiunto, la somiglianza vale soltanto per le dimensioni perché cinque dei sei pianeti orbitano molto vicino alla loro stella. "Poichè quest'ultima è simile al Sole, i pianeti - ha aggiunto Hack - sono sicuramente troppo caldi per permettere l'esistenza di forme di vita". "Per potersi sviluppare, ha rilevato l'esperta, "la vita richiede molecole stabili, anche se molto diverse da quelle che sono alla base della vita come la conosciamo sulla Terra: sono necessarie molecole complesse, ma queste vengono dissociate dalla temperatura troppo alta". Nello spazio, ha detto ancora, "andiamo a cercare una chimica della vita simile alla nostra perché gli elementi che la costituiscono sono i più diffusi nell'universo, come carbonio, acqua e ossigeno. "Il che - ha concluso Hack - non significa che la vita non possa avere caratteristiche diverse da quelle che conosciamo. Abbiamo visto che possono esistere batteri che si nutrono di arsenico e non possiamo escludere che forme di vita molto semplici possano essere molto diverse".
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CORRIERE della SERA
per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.corriere.it2011-07-24 L'acqua è dappertutto nell'universo: scoperta la più grande riserva di Leopoldo BenacchioCronologia articolo23 luglio 2011 In questo articolo Media Argomenti: Tecnologie | Nasa | California Institute of Technology | Darius Lis | Matt Bradford | ANSA | Caltech Accedi a My ascolta questa pagina Gli oceani? Grandi, vasti, addirittura smisurati. Così sono descritti dai viaggiatori e dai poeti e chi è stato in una spiaggia oceanica quest'impressione la capisce bene. Eppure di acqua non ne hanno poi tanta, almeno in confronto ad APM +5255 08 279 un ben strano corpo celeste, un quasar, che sta a 12 miliardi di anni luce da noi. Praticamente ai confini dell'Universo visibile, dato che pensiamo che la sua età sia di 13,5 miliardi di anni. Bene già allora, agli albori dell'espansione, di acqua ce ne era da vendere, dato che questo quasar attorno ne ha una quantità pari a 140 trilioni di volte quella di tutti gli oceani terrestri. E un trilione equivale a un milione di miliardi. Quindi lontanissima, antichissima e abbondantissima. È la scoperta del giorno, molto sicura dato che è stata fatta e confermata indipendentemente da due gruppi di ricerca americani, gli astronomi del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa e del California Institute of Technology (Caltech). Un quasar è uno degli oggetti celesti più strani ed enigmatici, presenti fin dalle prime epoche dell'Universo, composto da un enorme buco nero che assorbe costantemente, e potremmo dire voracemente, materia da un altrettanto enorme disco circostante di gas e polveri. foto Scoperto Quasar Man mano che il materiale gassoso e le polveri vengono "catturate" dal buco nero, il quasar emette enormi quantità di energia e per questo è ben visibile anche da distanze per noi inimmaginabili, come i 12 miliardi di anni luce in questione. Questo quasar poi è effettivamente di grandi dimensioni, dato che ospita un buco nero almeno 20 miliardi di volte più massiccio del nostro Sole e produce tanta energia, ad ogni secondo, quanto un migliaio di miliardi di stelle simile alla nostra. Tutto insomma in una scala difficile da immaginare, da "Universo violento" come si legge in qualche testo di fantascienza. Eppure è più che reale, anche se, ovviamente, quel che è stato visto con i potenti telescopi delle Hawaii non è l'acqua in quanto tale o una nube di vapore, ma la traccia della molecola H2O nella radiazione che ci arriva dal lontano e vorace quasar. E questa traccia ci dice quanta ce n'è e che in condizioni sia il vapore d'acqua. Una firma inequivocabile insomma. Il tutto è una conferma importante della presenza di grandi masse d'acqua fin dai primordi dell'Universo. Se fino a qualche anno fa la scoperta di una molecola d'acqua faceva gridare alla possibilità di vita, ora sappiamo che l'acqua è si presente in tutto l'Universo, ma in forma difficilmente usufruibile. In sostanza per avere la vita è necessario probabilmente che ci sia molta acqua, ma non è detto che se c'è acqua ci sia vita. Un po' come la poco amata "condizione necessaria ma non sufficiente" di tanti teoremi mandati a memoria al Liceo. D'altronde in questi ultimi 30 anni abbiamo trovato l'acqua sulla Luna, al suo Polo Sud, a temperature impressionanti: -270 sotto lo zero, abbiamo fotografato ghiacciai su Marte e sappiamo che le comete sono formate da un impasto di ghiacci vari, fra cui quelli di acqua e polveri. E poi acqua è stata trovata nella Via Lattea e in altre galassie, ma mai cosi tanta e così lontana come in questo caso del quasar APM +5255 08 279. D'altronde l'acqua è composta da idrogeno ed ossigeno, entrambi elementi facilmente reperibili nell'Universo e di conseguenza è estremamente probabile che si formi la molecola più famosa della chimica H2O. Ridimensionati drasticamente quindi i nostri oceani e di conseguenza mari e laghi. Certo quest'estate è meglio farsi un bagno qui da noi che nel quasar appena scoperto, col rischio di essere inghiottiti dal massiccio buco nero...
2011-05-27 Uno studio durato dieci anni Ecco la mappa in 3D dell'Universo Il 2MASS Redshift Survey ha sondato interamente il cielo notturno utilizzando raggi simili agli infrarossi Un'immagine della mappa in 3D dell'Universo Un'immagine della mappa in 3D dell'Universo MILANO - Gli astronomi dell'università inglese sono riusciti a mappare in tre dimensioni e a colori tutte le strutture visibili fino a 380 milioni di anni luce dalla Terra, usando i dati del Two-Micron All Sky Survey Redshift Survey. La ricerca, durata dieci anni, aveva l'obiettivo di sondare interamente il cielo notturno utilizzando raggi di luce vicini agli infrarossi. La luce di questo tipo ha una lunghezza d'onda superiore a quella visibile dall'occhio umano, ma è in grado di penetrare le nubi opache che circondano generalmente le galassie. E questo ha consentito ai ricercatori dell'Università di Portsmouth di "estendere" la propria vista fino quasi a raggiungere il disco galattico della Via Lattea (il disco galattico è la regione nella quale si concentra la grande maggioranza delle stelle e dei gas di una galassia spirale, come la nostra). IL REDSHIFT - Il redshift (o spostamento verso il rosso) è il fenomeno per cui la frequenza della luce osservata è più bassa della frequenza che aveva quando è stata emessa. Questo avviene quando la sorgente luminosa si muove allontanandosi o avvicinandosi a chi la sta guardando. Secondo l'interpretazione standard della cosmologia le galassie sono in allontanamento le une dalle altre e, più in generale, l'universo è in una fase di espansione iniziata col Big Bang. Per questa ragione, riuscire a misurare il redshift di un qualunque corpo, e di conseguenza la sua velocità, consente agli astronomi di dedurre la sua distanza. DOVE SIAMO? - La mappa, che copre il 95 per cento del cielo e contiene anche 45 mila galassie vicine, è stata presentata al 218esimo congresso dell'American Astronomical Society presso l'Harvard-Smithsonian Centre for Astrophysics di Cambridge. Karen Masters, una dei curatori della mappa , ha dichiarato: "Credo che parli al nostro desiderio di comprendere quale sia il nostro posto nell'universo". LA VIA LATTEA - Ma oltre a fornire indicazioni più precise sulla nostra collocazione nello spazio, la ricerca inglese punta a risolvere l'annosa domanda sul perché la Via Lattea si muova alla velocità di seicento chilometri al secondo rispetto al resto del cosmo. "Il quesito scientifico più importante che pone la realizzazione della mappa - ha detto ancora Masters - riguarda l'origine del movimento della nostra galassia. Sappiamo che a causarlo è la gravità e scoprirne la fonte è una questione ancora irrisolta. Soltanto grazie a una mappa completa del cielo si possono conteggiare tutte le galassie esistenti e, solo allora, potremo cercare di fornire una spiegazione del movimento della Via Lattea". A testimonianza di questo, nel corso delle rilevazioni che hanno portato alla creazione della mappa, è stata individuata una struttura che sembrerebbe esercitare una certa attrazione gravitazionale sulla nostra galassia e che potrebbe essere parte della soluzione ricercata dagli astronomi di tutto il mondo. Emanuela Di Pasqua 26 maggio 2011
2011-04-12 Ha un diametro di 400 metri e stabilirà un record che durerà fino al 2028 Incontro ravvicinato con l'asteroide Ma non ci sono timori che ci cada in testa Poco dopo la mezzanotte del 9 novembre passerà tra la Terra e la Luna a circa 327 mila km dal nostro pianeta Ha un diametro di 400 metri e stabilirà un record che durerà fino al 2028 Incontro ravvicinato con l'asteroide Ma non ci sono timori che ci cada in testa Poco dopo la mezzanotte del 9 novembre passerà tra la Terra e la Luna a circa 327 mila km dal nostro pianeta MILANO – Ventotto minuti dopo la mezzanotte di mercoledì 9 novembre (ora italiana) un asteroide di circa 400 metri passerà all’interno dello spazio tra la Terra e la Luna, a circa 327 mila chilometri dal nostro pianeta. L’asteroide venne scoperto poco più di cinque anni fa ed è stato chiamato 2005 YU55. DATI - Le osservazioni fin qui effettuate hanno permesso di stabilire che si tratta di una palla quasi sferica, con una superficie di colore molto scuro e un periodo di rotazione di circa 20 ore. PERICOLO – L’asteroide di tipo C, anche se potenzialmente pericoloso, non comporta alcuna minaccia per la Terra per un’eventuale collisione nei prossimi cento anni, rassicura la Nasa. Tuttavia si tratta del maggiore avvicinamento al pianeta per un oggetto di cui si conosce in anticipo la traiettoria. L’asteroide in oggetto, quindi, stabilirà un record che sarà battuto solo nel 2028 quando un altro asteroide (2001 WN5) passerà a sole 0,6 distanze lunari, pari a 230 mila chilometri. Paolo Virtuani 11 aprile 2011(ultima modifica: 12 aprile 2011)
2011-03-11 È il risultato di studi effettuati dall'istituto nazionale di geofisica e vulcanologia L'asse terrestre si è spostato di 10 cm Il sisma in Giappone ha avuto anche un impatto maggiore del terremoto di Sumatra del 2004 * NOTIZIE CORRELATE * Il terremoto in Cile ha accorciato la durata del giorno e spostato l'asse terrestre, di P. Virtuani (2 marzo 2010) È il risultato di studi effettuati dall'istituto nazionale di geofisica e vulcanologia L'asse terrestre si è spostato di 10 cm Il sisma in Giappone ha avuto anche un impatto maggiore del terremoto di Sumatra del 2004 (Archivio Corsera) (Archivio Corsera) MILANO - L'impatto del terremoto che ha colpito il Giappone stamattina avrebbe spostato l'asse di rotazione terrestre di quasi 10 centimetri. È il risultato preliminare di studi effettuati dall'Ingv, l'istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. IMPATTO - L'impatto di questo evento sull'asse di rotazione, spiega l'Ingv, è stato molto maggiore anche rispetto a quello del grande terremoto di Sumatra del 2004, che fu di 7 centimetri lineari e di 2 millesimi di secondo d'arco angolari, e probabilmente secondo solo al terremoto del Cile del 1960. Il terremoto del Cile dello scorso anno spostò l'asse terrestre di circa 8 centimetri. Redazione online 11 marzo 2011
L'asse di rotazione si è spostato di 2,7 millisecondi di arco, pari a 8 centimetri Il terremoto in Cile ha accorciato la durata del giorno e spostato l'asse terrestre La Terra gira più velocemente e le giornate si sono accorciate di 1,26 milionesimi di secondo L'asse di rotazione si è spostato di 2,7 millisecondi di arco, pari a 8 centimetri Il terremoto in Cile ha accorciato la durata del giorno e spostato l'asse terrestre La Terra gira più velocemente e le giornate si sono accorciate di 1,26 milionesimi di secondo (Nasa) (Nasa) MILANO - Come avviene in tutti i grandi terremoti, anche il sisma di 8,8 gradi della scala Richter di sabato scorso al largo delle coste del Cile ha spostato l'asse terrestre e modificato la durata del giorno. La differenza è stata calcolata tramite un modello matematico complesso da Richard Gross del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) di Pasadena, in California. GIORNI PIÙ CORTI - Secondo Gross la zolla di Nazca, che subduce sotto quella sudamericana e ha generato il terremoto cileno, ha spostato masse verso l'interno della Terra. Come avviene nei pattinatori quando, durante la trottola, portano le braccia al petto e aumentano la velocità di rotazione, così capita al nostro pianeta. Masse più vicine al centro della Terra determinano una maggiore velocità di rotazione e quindi un accorciamento della durata del giorno. Per la precisione, hanno calcolato Gross e i suoi colleghi del Jpl, il giorno si è accorciato di 1,26 microsecondi, ossia 1,26 milionesimi di secondo. Una differenza molto piccola, ma permanente, che è addirittura sotto la soglia dell'osservazione diretta strumentale, che è di 5 microsecondi. ASSE DI ROTAZIONE - Il terremoto ha avuto conseguenze anche sull'asse di rotazione che, secondo Gross, si è spostato di 2,7 millisecondi di arco, pari a 8 centimetri. Per Enzo Boschi, presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, l'asse terrestre si è spostato di ben 12 centimetri. DIFFERENZA - Anche il terremoto di Sumatra del 26 dicembre 2004, che è stato più forte (9,1 gradi Richter) determinò importanti cambiamenti: una diminuzione della durata del giorno di 6,8 microsecondi e uno spostamento dell'asse terrestre di 2,32 millisecondi di arco, pari a circa 7 centimetri. La differenza dello spostamento dell'asse terrestre del terremoto cileno rispetto a quello indonesiano è dovuto a due fattori: il terremoto dell'Indonesia avvenne quasi all'equatore, quindi alla maggiore distanza possibile dal centro della Terra (il pianeta non è perfettamente sferico: è schiacciato presso i poli e rigonfio all'equatore) e quindi le masse non si spostarono così tanto verso il centro. Inoltre l'angolo della faglia che subduce sotto il Sudamerica è maggiore rispetto a quella della zolla indo-australiana che subduce sotto l'Asia, quindi anche per questo motivo le masse crostali dell'oceano Indiano sono affondate di meno e hanno prodotto un minore spostamento dell'asse. EFFETTI - Questi cambiamenti, però, sono troppo piccoli per incidere in alcun modo sulla vita umana né sull'ambiente fisico terrestre. Boschi aggiunge che per ora i dati riportati sono stime e "stiamo aspettando le verifiche sperimentali che saranno effettuate nel centro dell’Agenzia spaziale italiana di Matera". Paolo Virtuani 02 marzo 2010(ultima modifica: 04 marzo 2010)
cronologia I terremoti in Giappone dal '95 a oggi I sismi più recenti verificatisi nel Sol Levante. A Kobe nel 1995 morirono 6.500 persone cronologia I terremoti in Giappone dal '95 a oggi I sismi più recenti verificatisi nel Sol Levante. A Kobe nel 1995 morirono 6.500 persone MILANO - Ecco un elenco dei più recenti terremoti che hanno colpito il Giappone dal disastroso sisma che nel 1995 interessò la città di Kobe. Il più mortale avvenne il 1° settembre 1923: una scossa valutata di 7,9 gradi Richter causò 142.800 morti a Kanto, nell'area di Tokyo-Yokohama. La gran parte delle vittime fu in realtà provocata dagli incendi che devastarono le abitazioni in legno. Nella baia di Sagami le onde dello tsunami arrivarono a un'altezza di 12 metri. 9-10 agosto 2009 - due scosse di 7,1 e 6,1 nell'isola di Honshu a 170 km da Hamamatsu, il secondo terremoto provoca un morto 13 giugno 2008 - un terremoto di 6,9 Richter a 75 km da Morioka provoca almeno 13 morti. Il 23 luglio un'altra vittima per un sisma di 6,8 a 35 km da Morioka 25 marzo 2007 - Un sisma di magnitudo 6,9 colpisce la penisola di Noto, circa 300 chilometri a ovest di Tokyo, provocando la morte di una persona, il ferimento di oltre 200 e la distruzione di centinaia di case 16 luglio 2007 - Un terremoto di magnitudo 6,8 colpisce la prefettura di Niigata, circa 250 chilometri a nord-ovest di Tokyo, provocando la morte di 11 persone e il ferimento di 1.950. Il sisma provoca danni alla centrale nucleare più grande del mondo, con una modesta perdita radioattiva 16 agosto 2005 - Un violento sisma di 7,2 gradi Richter colpisce la regione nord-orientale dell'isola di Honshu, prefettura di Miyagi, provocando una trentina di feriti. 6 ottobre 2000 - Un sisma di 7,3 gradi nella prefettura di Tottori, sud-ovest dell'isola Honshu. 120 feriti. 23 luglio 2005 - Una ventina di feriti a Tokyo per un sisma di 6 gradi Richter. 20 marzo 2005 - Un morto e 400 feriti per un movimento tellurico di 7 gradi Richter nella regione meridionale di Fukuoka. 23 ottobre 2004 - 65 morti e circa 3 mila feriti e 100 mila sfollati per il sisma di 6,8 gradi nella regione di Niigata 25 settembre 2003 - Un morto e circa 500 feriti per un terremoto di 8,3 Richter nell'isola settentrionale di Hokkaido. 26 maggio 2003 - Un centinaio di feriti per un sisma di 7 gradi Richter nella provincia di Miyagi. 6 ottobre 2000 - Un centinaio di feriti per un terremoto di 7,3 Richter nella provincia di Tottori. 7 gennaio 1995 - Un sisma di 7,3 gradi Richter fa tremare Kobe, Osaka e Kyoto. Oltre 5 mila morti, più di 40 mila feriti, 250 mila case distrutte. Redazione online 11 marzo 2011
2011-02-02 Grazie al satellite Kepler della Nasa Trovato primo sistema extrasolare con sei pianeti Cinque sono tra i più piccoli finora noti, con dimensioni simili alla Terra, e hanno un'atmosfera * NOTIZIE CORRELATE * La Nasa scopre due nuovi pianeti di G. Caprara (26 agosto 2010) Grazie al satellite Kepler della Nasa Trovato primo sistema extrasolare con sei pianeti Cinque sono tra i più piccoli finora noti, con dimensioni simili alla Terra, e hanno un'atmosfera La ricostruzione di un pianeta roccioso extrasolare La ricostruzione di un pianeta roccioso extrasolare MILANO - Un vero record la scoperta del satellite Kepler della Nasa. Il suo occhio ha trovato una stella con addirittura sei pianeti che le girano intorno. Quindi è quasi uguale al nostro sistema solare che di pianeti ne ha otto. Il nuovo astro battezzato Kepler-11 è praticamente nel circondario, essendo all’interno della nostra Galassia ben al di sotto del braccio più esterno Perseus. TAGLIA - I primi cinque pianeti viaggiano molto vicino alla stella-madre in una formazione compatta tanto da compiere un intero giro intorno ad essa in un tempo che varia da 10 a 47 giorni. Il sesto, invece, si trova su un’orbita molto diversa, più allungata proiettandosi molto più lontano. Il gruppetto vicino dei cinque – racconta su Nature Jack Lissauer, uno degli scopritori - è formato da pianeti che sono tra i più piccoli finora rilevati con dimensioni analoghe alla Terra e la valutazione delle loro masse porta a concludere che siano avvolti da uno strato di gas leggeri, quindi una sorta di atmosfera. Dunque il risultato è un importante passo avanti verso la scoperta di mondi simili al nostro globo azzurro come sembrano essere quelli di Kepler-11. SISTEMI E PIANETI - Finora sono stati individuati 258 sistemi planetari attorno a stelle analoghe al Sole, ma la maggior parte è costituita da uno o due pianeti. Qualcuno di tre, uno di quattro e solo uno di cinque attorno alla stella 55 rho-Cancri A. Complessivamente, finora i pianeti extrasolari sono 519 e alcuni di questi sono rocciosi come la Terra. Ma ci sono altre centinaia di candidati già avvistati che attendono conferma. La prova che qualcuno ospiti la vita non è stata tuttavia ancora raccolta. Per l’80 per cento si tratta di pianeti giganti e gassosi come il nostro Giove. Il lavoro da compiere è ancora arduo. Tanto per cominciare i pianeti extrasolari sono stati scoperti finora soprattutto misurando l’attenuazione della luce quando transitano davanti alla stella o perché inducono variazioni di comportamento sulla stella stessa. Il telescopio spaziale Hubble ne ha fotografato uno, ma è un debolissimo puntino di luce che non aiuta molto gli astronomi. KEPLER - Il campione di queste ricerche è il satellite Kepler della Nasa che ha compiuto la scoperta odierna e che è stato costruito proprio per la caccia al gemello della Terra. Lanciato nel marzo del 2009 ora è arrivato alla metà della vita ed è stato concepito per controllare centomila stelle della nostra galassia nello spazio vicino. Finora ha rilevato oltre 700 potenziali pianeti extrasolari anche se quelli confermati sono per il momento intorno soltanto a undici stelle. I suoi risultati confermano però che i sistemi planetari non sono un’eccezione, ma sono abbastanza diffusi calcolando che nella nostra galassia il 10 per cento delle stelle analoghe al nostro Sole sia provvisto di un corredo planetario. Nonostante gli interessanti risultati, gli scienziati americani sono rammaricati che la Nasa abbia per il momento cancellato e rinviato il progetto del successore di Kepler le cui capacità ci avrebbero portato forse rapidamente a individuare il primo gemello della Terra. Redazione online 02 febbraio 2011
2010-12-22 http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/10_dicembre_21/attimo-possibile-universo-lhc-caprara_4feee818-0cd7-11e0-a1b6-00144f02aabc.shtmlA Ginevra tra gli scienziati italiani che guidano tutti i progetti del Cern "Questo è l'attimo (possibile) in cui nacque l'Universo" Bosone di Higgs, il primo indizio dal superacceleratore Lhc A Ginevra tra gli scienziati italiani che guidano tutti i progetti del Cern "Questo è l'attimo (possibile) in cui nacque l'Universo" Bosone di Higgs, il primo indizio dal superacceleratore Lhc GINEVRA - La "particella di Dio" ha già un volto. "Potrebbe essere proprio il bosone di Higgs che cerchiamo" dice Guido Tonelli a capo dell'esperimento Cms, uno dei quattro installati nell'anello del superacceleratore Lhc al Cern di Ginevra. "Il segnale che abbiamo raccolto ha tutte le caratteristiche teorizzate - aggiunge Tonelli -. Una coppia di bosoni Z decadono e ciascuno emette due muoni. L'evento è stato ricostruito nei dati raccolti fino al mese di ottobre. Per la ricerca del bosone di Higgs si cercano, appunto, eventi con quattro muoni di questo tipo che però devono presentarsi in un numero ben maggiore. Quelli identificati sono troppo pochi e quindi sono considerati un fondo di misura. Però ciò che abbiamo visto ad un livello di energia di 200 GeV ci dice che siamo sulla strada giusta. E questo è importante per arrivare a destinazione". Qualcosa di simile è stato rilevato pure nell'esperimento Atlas di Fabiola Gianotti, sempre all'Lhc, e anche al Tevatron americano. "Questo è uno dei tanti risultati già ottenuti nei mesi scorsi - nota Gianotti - i quali ci hanno mostrato, in brevissimo tempo, cioè nell'anno di attività dopo la riparazione dal guasto dell'autunno 2008, tutta la fisica conosciuta". Dal 6 dicembre il superacceleratore ginevrino è stato spento per un paio di mesi di manutenzione e così siamo potuti scendere nelle caverne degli esperimenti a cento metri di profondità. Finora l'energia massima raggiunta negli scontri fra le nuvole di protoni all'interno dell'anello è di 7 TeV, cioè la metà della potenza massima per la quale è stato progettato. "Ma il risultato già ottenuto - spiega Tonelli - è stato così importante e significativo che ci ha spinto a cambiare tutti i programmi di lavoro stabiliti. In pratica ci siamo resi conto che molti obiettivi potranno essere raggiunti a questo livello di energia o poco più, ad esempio 7,1 TeV, che è quello che si farà alla riaccensione".
Tonelli e Gianotti fanno parte dei 600 scienziati italiani dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) impegnati con la nuova macchina destinata a riprodurre le condizioni dell'Universo una frazione di secondo dopo il big bang dal quale ogni cosa ha avuto origine. Tutti i quattro esperimenti allestiti sull'anello sono diretti da italiani. Paolo Giubellino governa l'esperimento Alice e Pier Luigi Campana l'esperimento Lhcb. Lo stesso acceleratore con magneti superconduttori è stato costruito sotto la guida di Lucio Rossi. Inoltre, anche il direttore di tutta la ricerca del Cern, Sergio Bertolucci, è un fisico italiano. Insomma, la predominanza internazionale dei nostri scienziati delle alte energie è riconosciuta sul campo: alla guida degli esperimenti, infatti, si è eletti direttamente dai ricercatori del gruppo e sono complessivamente seimila di ogni nazionalità quelli coinvolti da Lhc. Tra loro c'è persino un migliaio di americani, invertendo, nella fisica, il flusso che di solito vede gli europei andare oltre Atlantico.
Ma intanto si sta già lavorando per migliorare le capacità di Lhc, potenziandole da 5 a dieci volte rispetto ad oggi. Il programma è stato appena approvato dal Consiglio del Cern e si è impegnati nella realizzazione dei primi elementi. "Sostituiremo alcune parti attuali - precisa Lucio Rossi - con altre di tecnologia più avanzata in modo da aumentare la cosiddetta luminosità dell'acceleratore, vale a dire il numero di collisioni che possono avvenire ogni secondo nello scontro tra i protoni. Questo significa accrescere considerevolmente le possibilità di scoperta. I primi prototipi dei nuovi elementi dell'anello saranno pronti nel 2013; poi si procederà alla costruzione di trenta magneti che rimpiazzeranno nel 2020 altrettanti vecchi elementi". I test, iniziati lo scorso mese, fanno ricorso al nuovo superconduttore niobio-tre-stagno con il quale si è fabbricato un primo piccolo magnete. Il tempo corre veloce al Cern, ormai diventato il più importante centro di ricerche nucleari del mondo; un primato che rimarrà tale presumibilmente per almeno un ventennio, grazie anche ai miglioramenti in corso. Giovanni Caprara 21 dicembre 2010(ultima modifica: 22 dicembre 2010)
2010-12-03 ALTRE GALASSIE Ci sono trilioni di pianeti simili alla Terra Da uno studio sulle "nane rosse" dell'Università di Yale ALTRE GALASSIE Ci sono trilioni di pianeti simili alla Terra Da uno studio sulle "nane rosse" dell'Università di Yale Filtrando la luce dalle stelle più luminose, gli astronomi hanno rilevato il segno debole di piccole di piccole, le stelle nane rosse, in galassie ellittiche vicine (a destra) e hanno constatao che sono molto più numerose di quelle che compongono la Via Lattea (a destra). Questo suggerisce che il numero totale delle stelle nell'universo potrebbe essere fino a tre volte più superiore a quello che si è sempre pensato (Yale University) Filtrando la luce dalle stelle più luminose, gli astronomi hanno rilevato il segno debole di piccole di piccole, le stelle nane rosse, in galassie ellittiche vicine (a destra) e hanno constatao che sono molto più numerose di quelle che compongono la Via Lattea (a destra). Questo suggerisce che il numero totale delle stelle nell'universo potrebbe essere fino a tre volte più superiore a quello che si è sempre pensato (Yale University) MILANO – Un team di astronomi statunitensi, in seguito a osservazioni del telescopio Keck (nelle Hawaii), sostiene in una recente ricerca che le galassie più antiche della nostra contengano una quantità di stelle rosse nane venti volte superiore a quelle presenti nella Via Lattea e dalla cinque alle dieci volte superiore a quanto stimato precedentemente. Secondo Pieter van Dokkum, professore di astronomia all'Università di Yale e a capo della ricerca pubblicata su BbcNews e su Nature, questo potrebbe significare che vi siano trilioni di pianeti (un trilione è pari a un milione elevato alla terza e quindi a un miliardo di miliardi) simili alla Terra e aumenterebbe le possibilità che esistano forme di vita nello spazio infinito. UNA STELLA / 100 NANE - In astronomia una nana rossa è una stella piccola e dalla luminosità flebile, caratteristiche che ne rendono difficile l'individuazione sia all'esterno che all'interno della nostra galassia. Si tratta della tipologia stellare più diffusa nell'universo e si ritiene che nell'insieme costituiscano una percentuale tra il sessantacinque e l'ottanta per cento delle stelle presenti nella Via Lattea. Fino a oggi per valutare il numero di stelle presenti nelle galassie, valore molto importante per comprenderne la storia, gli studiosi hanno utilizzato una proporzione derivata dal fatto che, nella Via Lattea, per ogni stella simile al Sole vi sono all'incirca 100 nane rosse. Nel corso dello studio invece gli astronomi hanno preso in considerazione otto galassie ellittiche, tipologia alla quale appartengono le più grandi dell'universo, con distanze dalla Terra comprese tra i cinquanta milioni e i trecento milioni di anni luce e sono andati alla ricerca delle nane rosse. MATERIA OSCURA - Le scoperte portate a termine grazie al telescopio hawaiano hanno consentito agli scienziati americani di esprimere l'ipotesi che, nelle galassie osservate, il numero delle stelle sia dalle cinque alle dieci volte superiore rispetto a ciò che si è sempre creduto, triplicando in questo modo il numero delle stelle totali individuate nell'universo fino a oggi. Inoltre la presenza di una maggiore quantità di corpi stellari potrebbe portare a rivedere la quantità di materia oscura (la componente di materia che si manifesta attraverso i suoi effetti gravitazionali, ma non è direttamente osservabile) presente nelle galassie ellittiche e la massa reale di queste ultime. ESO-PIANETI - Infine è bene ricordare che più stelle significano maggiori possibilità dell'esistenza di pianeti e che altre recenti ricerche hanno portato alla scoperta di eso-pianeti, vale a dire corpi celesti che orbitano attorno a una stella diversa dal Sole, proprio nelle vicinanze di stelle nane rosse. "Forse ci sono trilioni di pianeti simili alla Terra attorno a queste stelle - ha dichiarato il professor van Dokkum - Le nane rosse hanno normalmente più di dieci miliardi di anni e quindi esistono da un tempo sufficiente da far ritenere che possano avere consentito lo sviluppo della vita sui pianeti che le circondano". Emanuela Di Pasqua 02 dicembre 2010(ultima modifica: 03 dicembre 2010)
2010-11-25 [Esplora il significato del termine: Con la collaborazione degli astronomi italiani dell’INAF Sciolto l’enigma delle stelle pulsanti Ora è sicuro: le Cefeidi le "candele" di riferimento degli astronomi, girano una intorno all’altra Con la collaborazione degli astronomi italiani dell’INAF Sciolto l’enigma delle stelle pulsanti Ora è sicuro: le Cefeidi le "candele" di riferimento degli astronomi, girano una intorno all’altra MILANO - Da quarant’anni gli astronomi cercano di sciogliere l’enigma delle stelle pulsanti Cefeidi ed ora ci sono riusciti. Il prezioso frutto pubblicato sulla rivista britannica "Nature" è di un gruppo internazionale che include anche Giuseppe Bono dell’università Tor Vergata di Roma e dell’Istituto nazionale di astrofisica Inaf. Tanto accanimento si spiega col fatto che non si tratta di astri qualsiasi. Le Cefeidi, infatti, sono le "candele"di riferimento nel cielo a cui guardano per misurare le distanze delle galassie in cui sono contenute. L’EMIGMA SVELATO - Da quasi mezzo secolo, dunque, per spiegare l’enigma si scontravano due teorie. Una sosteneva appunto che si trattava di stelle pulsanti e l’altra che il fenomeno della loro variabilità nel brillare era legato all’evoluzione degli astri. Alla fine i calcoli dei due gruppi generavano però un dato molto diverso e per nulla coincidente circa la massa di queste stelle. Il mistero sulla loro natura quindi rimaneva. Ora scrutando con attenzione una coppia di stelle, un sistema binario come lo chiamano gli astronomi, nelle Nubi di Magellano costituite da due galassie parenti perché poco distanti dalla nostra Via Lattea e distanti 160 mila anni luce dalla Terra, il gruppo internazionale è riuscito a calcolare la massa con una precisione mai raggiunta dell’1 per cento. Il valore è determinante perché coincide con la teoria "pulsante". Le due stelle, girando una intorno all’altra, si eclissano periodicamente e ciò ha permesso di valutare bene la loro massa pari a 4,14 volte quella del Sole, calcolando con esattezza la regolare diminuzione della luce da esse proveniente. "Quello che è certo – precisa Bono - è che grazie a questa misura possiamo comprendere meglio le leggi fisiche che regolano le proprietà delle Cefeidi. E tale conoscenza renderà ancora più affidabile il loro utilizzo come ] Con la collaborazione degli astronomi italiani dell’INAF Sciolto l'enigma delle stelle pulsanti Ora è sicuro: le Cefeidi le "candele" di riferimento degli astronomi, girano una intorno all'altra Con la collaborazione degli astronomi italiani dell’INAF Sciolto l'enigma delle stelle pulsanti Ora è sicuro: le Cefeidi le "candele" di riferimento degli astronomi, girano una intorno all'altra MILANO - Da quarant’anni gli astronomi cercano di sciogliere l’enigma delle stelle pulsanti Cefeidi ed ora ci sono riusciti. Il prezioso frutto pubblicato sulla rivista britannica "Nature" è di un gruppo internazionale che include anche Giuseppe Bono dell’università Tor Vergata di Roma e dell’Istituto nazionale di astrofisica Inaf. Tanto accanimento si spiega col fatto che non si tratta di astri qualsiasi. Le Cefeidi, infatti, sono le "candele"di riferimento nel cielo a cui guardano per misurare le distanze delle galassie in cui sono contenute. L'EMIGMA SVELATO - Da quasi mezzo secolo, dunque, per spiegare l’enigma si scontravano due teorie. Una sosteneva appunto che si trattava di stelle pulsanti e l’altra che il fenomeno della loro variabilità nel brillare era legato all’evoluzione degli astri. Alla fine i calcoli dei due gruppi generavano però un dato molto diverso e per nulla coincidente circa la massa di queste stelle. Il mistero sulla loro natura quindi rimaneva. Ora scrutando con attenzione una coppia di stelle, un sistema binario come lo chiamano gli astronomi, nelle Nubi di Magellano costituite da due galassie parenti perché poco distanti dalla nostra Via Lattea e distanti 160 mila anni luce dalla Terra, il gruppo internazionale è riuscito a calcolare la massa con una precisione mai raggiunta dell’1 per cento. Il valore è determinante perché coincide con la teoria "pulsante". Le due stelle, girando una intorno all’altra, si eclissano periodicamente e ciò ha permesso di valutare bene la loro massa pari a 4,14 volte quella del Sole, calcolando con esattezza la regolare diminuzione della luce da esse proveniente. "Quello che è certo – precisa Bono - è che grazie a questa misura possiamo comprendere meglio le leggi fisiche che regolano le proprietà delle Cefeidi. E tale conoscenza renderà ancora più affidabile il loro utilizzo come "metro campione": la misura delle distanze delle galassie e più in generale delle dimensioni dell’universo saranno decisamente più accurate". Il risultato è stato ottenuto nell’ambito del progetto Ogle (Optical Gravitational Lensing Experiment) all’Osservatorio cileno di La Silla dell’ESO (European Southern Observatory). Giovanni Caprara 25 novembre 2010
2010-10-22 Si trova a 13 miliardi di anni luce da noi Fotografata la galassia più lontana Quando si formò l’universo aveva appena compiuto 600 milioni di anni dal Big Bang iniziale Si trova a 13 miliardi di anni luce da noi Fotografata la galassia più lontana Quando si formò l’universo aveva appena compiuto 600 milioni di anni dal Big Bang iniziale UDFy-38135539 nel cerchio rosso a sinistra, ingrandimento del quadrato bianco al centro (Nasa) UDFy-38135539 nel cerchio rosso a sinistra, ingrandimento del quadrato bianco al centro (Nasa) MILANO - È un minuscolo punto di luce ma nasconde la galassia più lontana mai fotografata. L’impresa è riuscita al telescopio spaziale Hubble ed è stata confermata dagli astronomi europei che lavorano con il Very Large Telescope in Cile. La sua luce è così lontana che ha impiegato 13 miliardi di anni per arrivare sino a noi viaggiando alla velocità di 300 mila chilometri al secondo. Quando si formò l’universo aveva appena compiuto 600 milioni di anni dal Big Bang iniziale. PICCOLA - La sua taglia è piccola rispetto alla nostra Via Lattea, che ha un diametro di 100 mila anni luce e ai cui confini noi abitiamo. Quindi contenendo un numero di stelle minore (da un decimo a un centesimo) è poco luminosa e questa è la ragione per cui appare debole ed è stato arduo riprenderla anche per un potente telescopio come Hubble. Però quella poca luce intercettata ci racconta un capitolo importante dell’universo quando ancora era giovanissimo. Classificata UDFy-38135539, il telescopio spaziale della Nasa l’aveva intercettata con la sua Wide Field Camera-3 l’anno scorso impiegando ben 48 ore di esposizione per catturare il suo bagliore. Subito gli astronomi dello Space Telescope Science Institute di Baltimora si resero conto che doveva trattarsi di una galassia molto lontana, ma occorrevano altre misure per stabilire quanto remota fosse. Ora con il VLT sul monte Paranal nel deserto di Atacama sono riusciti nell’impresa precisando la sua distanza, appunto, in 13 miliardi di anni luce. ORIGINI - Allora l’universo non era molto trasparente e imponenti nubi di idrogeno creavano una fitta nebbia che impediva alla luce di viaggiare indisturbata. Tuttavia i raggi della piccola galassia primordiale dovevano essere così intensi da penetrare la nebbia al contrario di quelli di altre galassie più grandi ma più deboli. "Le foto di Hubble e di VLT", commenta Malcom Bremer della Bristol University e co-autore dell’articolo pubblicato su Natureche racconta la scoperta, "ci aiutano a capire come le isole stellari si formavano e crescevano. Quindi indagheremo altri candidati celesti simili è così amplieremo il panorama dello nostre origini". Giovanni Caprara 21 ottobre 2010(ultima modifica: 22 ottobre 2010)
2010-10-10 Individuato il pianeta Gliese 581g: si trova a 20 anni luce da noi Vedi cliccando qui sopra http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/10_settembre_30/pianeta-terra_f1154c4e-cc74-11df-b9cd-00144f02aabe.shtmlNello spazio c'è un'altra Terra Potrebbe ospitare forme di vita: c'è acqua e atmosfera e la temperatura varia tra i -12° e i -31° Individuato il pianeta Gliese 581g: si trova a 20 anni luce da noi Nello spazio c'è un'altra Terra Potrebbe ospitare forme di vita: c'è acqua e atmosfera e la temperatura varia tra i -12° e i -31° MILANO – Su Gliese 581g c’è l’acqua liquida, grazie a una distanza dalla stella madre che regala al pianeta la giusta energia, e c’è l’atmosfera, grazie a una sufficiente forza di gravità del pianeta per trattenerla. A questo punto non ci sarebbe da stupirsi se Gliese 581g ospitasse qualche forma di vita, pur trattandosi probabilmente di una vita molto differente da quella che possiamo ipotizzare: la presenza di acqua e di atmosfera sono infatti considerati i due fattori più importanti, anche se non unici, per l’abitabilità. SEGNI PARTICOLARI - Scoperto da un team di astronomi dell’Università di California a Santa Cruz e del Carnegie Institution di Washington in seguito a undici anni di osservazioni e rilevamenti al Keck Observatory (alle Hawaii), il pianeta Gliese, al di fuori del sistema solare, ha una particolarità: mostra sempre la stessa faccia alla sua stella, in modo tale che una parte è sempre calda e illuminata e l’altra è sempre buia e fredda. La linea che separa le due metà si chiama terminatore e in corrispondenza di questa linea la temperatura è tra i -12 e i -31°C. PRIMO PIANTA ABITABILE – La scoperta, pubblicata sul Astrophysical Journal, ha fatto scalpore perché si tratta del pianeta più simile alla Terra mai individuato intorno a un’altra stella, tanto da essere celebrato come il primo luogo al di fuori del sistema solare che potrebbe per primo ospitare la vita. Goldilocks zone: così viene chiamata la famiglia planetaria a cui appartiene Gliese 581g, insieme ad altri cinque parenti-pianeti, tra i quali quattro già noti agli astronomi e il quinto scoperto insieme a Gliese. CARATTERISTICHE – Dista da noi circa 20 anni luce, ovvero un’enormità, ma in termini astronomici è relativamente vicino. La sua massa è all’incirca da 3,1 e 4,3 quella della Terra e il suo raggio è stimato essere tra 1,2 e 1,4 volte il raggio terrestre. E’ roccioso e il suo periodo orbitale è pari a meno di 37 giorni. Il fatto che si tratti del primo pianeta a essere considerato abitabile non significa assolutamente che sia l’unico: i pianeti cosiddetti Earth-like (simili alla Terra) sono molto ricercati dagli astronomi e il fatto che siano riusciti a individuarne uno in relativamente poco tempo fa supporre che il numero di sistemi con pianeti potenzialmente abitabili si aggiri intorno al 10-20 per cento. Secondo Paul Butler, astronomo del Carnegie Institution di Washington e cacciatore di pianeti "L’abilità umana di scoprire mondi potenzialmente abitabili è limitata unicamente dal tempo dedicato all’uso del telescopio. Gliese 581 – continua Butler - ha le misure e la distanza giusta dalla stella madre per essere abitabile e ha tutte le carte in regola per guidare la rivoluzione dei pianeti extra-solari". Emanuela Di Pasqua 30 settembre 2010
Lo studio è stato realizzato da un gruppo di ricercatori italiani Le stelle, la luce e la scoperta I buchi neri non sono più neri Confermata la teoria di Hawking sui "mostri celesti" * NOTIZIE CORRELATE * SCHEDA Lo spazio e i misteri Lo studio è stato realizzato da un gruppo di ricercatori italiani Le stelle, la luce e la scoperta I buchi neri non sono più neri Confermata la teoria di Hawking sui "mostri celesti" MILANO - Il buco nero non è più nero. E Stephen Hawking aveva ragione: la luce può sfuggire dai mostri celesti spesso nascosti nel cuore delle galassie (compresa la nostra Via Lattea) o disseminati nei loro infiniti spazi. L'astrofisico britannico lo aveva teorizzato oltre trent'anni fa, nel 1974, suscitando da allora polemiche tra favorevoli e contrari. Mancava una prova per stabilire la ragione ed ora, per la prima volta, questa viene raccolta da un gruppo di ricercatori guidati da Daniele Faccio del Dipartimento di fisica e matematica dell'Università dell'Insubria a Como. Ha collaborato alla ricerca Francesco Belgiorno dell'Università degli Studi di Milano e primo firmatario del lavoro in pubblicazione su Physical Review Letters. Il buco nero nasce quando una stella muore se nella sua luminosa vita aveva una massa superiore ad una quantità stabilita. Allora la materia collassa e si concentra in uno spazio ristrettissimo manifestando una potentissima forza di gravità capace di trattenere qualsiasi cosa. Nulla può sfuggire dal suo orizzonte, nemmeno i fotoni che compongono la luce. Ed è proprio per questo che è "nero", perché i telescopi non riescono a vederlo. Ma Hawking, calcolando la temperatura dei mostri (la quale dice quanto brilla un corpo celeste), aveva constatato che pur essendo un miliardo di volte più bassa di quella dello spazio circostante (270 gradi sotto lo zero centigrado) dimostrava che qualcosa sfuggiva. Il processo è stato ricostruito in laboratorio a Como illuminando con un laser un blocco di vetro con particolari caratteristiche. "I fotoni della luce interagendo con il materiale molto denso - spiega Daniele Faccio - riproducono lo stesso effetto che si verifica nella zona circostante il buco nero battezzata "orizzonte degli eventi". Qui accade, e lo abbiamo misurato, che una particella, il fotone a frequenza negativa, venga assorbita e quella che lo accompagna a frequenza positiva emerga. A separarli è proprio l'orizzonte e una volta divisi non possono più ricongiungersi". Ma uno dei due, potendo sfuggire, diventa appunto rilevabile. Così nasceva la "radiazione di Hawking" com'era stata chiamata dopo la formulazione della teoria da parte del geniale scienziato. Egli, infatti, sostiene che i buchi neri evaporano, si dissolvono con il tempo, perché fornendo l'energia ai fotoni che se ne vanno in continuazione questa, ad un certo punto, si esaurisce e del "mostro", alla fine, non resta più nulla. Il risultato è frutto di spiegazioni, precisa il team leader del gruppo, che inglobano dalla teoria quantistica alla relatività generale di Einstein alle teorie sui buchi neri; cioè un insieme di concetti che animano la fisica più d'avanguardia. Tuttavia questi risultati non solo aprono una finestra sulla conoscenza di uno dei misteri più affascinanti del cosmo ma prospettano addirittura delle future applicazioni nel mondo delle telecomunicazioni quantistiche. "La radiazione di Hawking - commenta su New Scientist Ulf Leonhardt dell'Università inglese di St. Andrew's - non è più soltanto un sogno teorico ma è diventata finalmente qualcosa di reale". Giovanni Caprara 30 settembre 2010
2010-09-19 Avvera' nella notte tra lunedì e martedì Passaggio ravvicinato di Giove Il più grande pianeta del sistema solare a 592 milioni di km. E' da 50 anni che non accadeva Avvera' nella notte tra lunedì e martedì Passaggio ravvicinato di Giove Il più grande pianeta del sistema solare a 592 milioni di km. E' da 50 anni che non accadeva MILANO - Rendez-vous con la Terra: nella notte tra lunedì e martedì (20-21 settembre) il più grande pianeta del sistema solare si troverà ad una distanza di "soli" 592 milioni di chilometri dal nostro pianeta. Il pianeta gigante (potrebbe contenere 1300 Terre) non è mai stato così vicino alla Terra da cinquant'anni. In caso di buon tempo (sono previste poche nuvole) sarà distinguibile a occhio nudo. LA NOTTE DI GIOVE - Stando ai ricercatori dell'agenzia americana Nasa nella notte di martedì prossimo il più grande pianeta del nostro sistema solare (con un diametro di circa 143 mila chilometri) sarà distante da noi solo 592 milioni di km, ovvero circa 75 milioni di km più vicino rispetto ai precedenti "incontri". Un evento che è accaduto l'ultima volta nel 1963 e per il quale dovremmo aspettare l'anno 2022. Giove già ora appare come una stella incredibilmente luminosa - tre volte più della stella più brillante del cielo notturno, Sirio. Si potranno osservare i satelliti galileiani ma anche la famosa "Macchia Rossa", un ciclone semipermanente che dura da secoli nell'emisfero sud del pianeta gassoso caraterizzato da una profondissima atmosfera. E QUELLA DI URANO - Giove fu visitato per la prima volta nel 1973 dalla sonda spaziale Pioneer 10; attualmente la sonda Galileo è in orbita attorno al pianeta e per i prossimi paio d'anni continuerà ad inviare dati verso la Terra. "Giove è così brillante in questo momento, che non c'è bisogno di una mappa del cielo per trovarlo", ha spiegato Tony Phillips, astronomo della NASA. Tuttavia, aggiunge il ricercatore, "per un osservatore esperto la differenza è notevole". Il caso vuole che nella stessa notte anche Urano si avvicini. In questo caso però sarà difficile vedere l'approccio ad occhio nudo; con un telescopio si potrà veder brillare una sorta di disco color smeraldo a meno di un grado da Giove. "Un doppio evento che si può osservare una volta sola nella vita", sottolinea entusiasta Phillips. Giove rimarrà brillante per tutto il mese di settembre.
Elmar Burchia 19 settembre 2010
2010-09-10 [Esplora il significato del termine: Inseguito da anni Scoperto un nuovo tipo di buco nero che influenza la vita delle galassie In una remota galassia distante dalla Terra 300 milioni di anni luce * NOTIZIE CORRELATE * Superbuchi neri, spiegata la nascita di G. Caprara (1° settembre 2010) Inseguito da anni Scoperto un nuovo tipo di buco nero che influenza la vita delle galassie In una remota galassia distante dalla Terra 300 milioni di anni luce Ipotesi grafica di un buco nero Ipotesi grafica di un buco nero MILANO - Lo inseguivano da tempo, da anni, il nuovo mostro celeste. Ora gli astrofisici sono riusciti a catturarlo in una remota galassia distante dalla Terra 300 milioni di anni luce. Il soggetto in questione è un buco nero di nuovo tipo, caratterizzato da una dimensione media rispetto a quella dei superbuchi neri incastonati di solito nel cuore delle isole stellari. Ma i conti dei teorici avevano predetto che la popolazione di questi mostri celesti doveva essere variegata includendo quello strano tipo finalmente identificato e che conferma i loro calcoli. L’impresa è riuscita utilizzando il Very Large Telescope dell’Eso, in Cile, il quale ha raccolto immagini della più luminosa sorgente di raggi X battezzata con la sigla HLX-1, come ha raccontato sull’Astrophysical Journal, Klaas Wiersema dell’Università di Leicester. Il getto di raggi X è accanto a una sorgente luminosa in ottico, la quale si ritiene associata all’emissione della potente radiazione. Ora si scruterà in dettaglio questa sorgente per definire meglio il risultato, costruendo un preciso identikit del nuovo e atteso appartenente alla famiglia dei "mostri del cielo". La loro indagine è ritenuta preziosa perché aiuta a comprendere l’evoluzione delle galassie dal momento che sono in grado di influenzarla pesantemente. Giovanni Caprara 09 settembre 2010] Inseguito da anni Scoperto un nuovo tipo di buco nero che influenza la vita delle galassie In una remota galassia distante dalla Terra 300 milioni di anni luce * NOTIZIE CORRELATE * Superbuchi neri, spiegata la nascita di G. Caprara (1° settembre 2010) Inseguito da anni Scoperto un nuovo tipo di buco nero che influenza la vita delle galassie In una remota galassia distante dalla Terra 300 milioni di anni luce Ipotesi grafica di un buco nero Ipotesi grafica di un buco nero MILANO - Lo inseguivano da tempo, da anni, il nuovo mostro celeste. Ora gli astrofisici sono riusciti a catturarlo in una remota galassia distante dalla Terra 300 milioni di anni luce. Il soggetto in questione è un buco nero di nuovo tipo, caratterizzato da una dimensione media rispetto a quella dei superbuchi neri incastonati di solito nel cuore delle isole stellari. Ma i conti dei teorici avevano predetto che la popolazione di questi mostri celesti doveva essere variegata includendo quello strano tipo finalmente identificato e che conferma i loro calcoli. L’impresa è riuscita utilizzando il Very Large Telescope dell’Eso, in Cile, il quale ha raccolto immagini della più luminosa sorgente di raggi X battezzata con la sigla HLX-1, come ha raccontato sull’Astrophysical Journal, Klaas Wiersema dell’Università di Leicester. Il getto di raggi X è accanto a una sorgente luminosa in ottico, la quale si ritiene associata all’emissione della potente radiazione. Ora si scruterà in dettaglio questa sorgente per definire meglio il risultato, costruendo un preciso identikit del nuovo e atteso appartenente alla famiglia dei "mostri del cielo". La loro indagine è ritenuta preziosa perché aiuta a comprendere l’evoluzione delle galassie dal momento che sono in grado di influenzarla pesantemente. Giovanni Caprara 09 settembre 2010
2010-09-02 Il time pubblica alcuni stralci del suo nuovo libro. "tutto può essere nato dal nulla" Hawking: "Dio non è necessario a spiegare la creazione dell'Universo" Lo scienziato: "Si è trattato semplicemente di una conseguenza inevitabile delle leggi della fisica" Il time pubblica alcuni stralci del suo nuovo libro. "tutto può essere nato dal nulla" Hawking: "Dio non è necessario a spiegare la creazione dell'Universo" Lo scienziato: "Si è trattato semplicemente di una conseguenza inevitabile delle leggi della fisica" Stephen Hawking Stephen Hawking LONDRA - La creazione dell'universo si può spiegare anche senza l'intervento di Dio, poiché le ultime scoperte scientifiche hanno dimostrato che esistono alternative all'idea che esso sia nato dalla mano divina. Lo sostiene lo scienziato britannico Stephen Hawking nel suo ultimo libro "The Grand Design" (Il progetto grandioso), di cui il Times pubblica alcuni brani. LEGGI DELLA FISICA - La creazione dell'universo, scrive Hawking, è stata semplicemente una conseguenza inevitabile delle leggi della fisica. "Poiché esistono leggi come quella della gravità - sostiene il matematico nel libro di cui è coautore il fisico americano Leonard Mlodinow - l'universo può essere stato creato dal nulla". Considerando che è altamente probabile che esistano non solo altri pianeti simili alla Terra ma addirittura altri universi, Hawking sostiene che se Dio avesse voluto creare l'universo allo scopo di creare l'uomo, non avrebbe avuto senso aggiungere tutto il resto. LA RAGIONE UMANA - In questo modo Hawking rivede la teoria espressa in precedenza in "Una breve storia del tempo", in cui aveva sostenuto che non vi fosse incompatibilità tra un Dio creatore e la comprensione scientifica dell'universo. "Se arrivassimo a scoprire una teoria completa sarebbe il trionfo definitivo della ragione umana perché conosceremmo la mente di Dio", aveva scritto nel 1998. 02 settembre 2010
2010-09-01 Il risultato di un astrofisico italiano (a Zurigo) pubblicato da Nature Superbuchi neri, spiegata la nascita Con i supercomputer s’è visto che possono essere scaturiti dalla collisione e la fusione tra due galassie primordiali Il risultato di un astrofisico italiano (a Zurigo) pubblicato da Nature Superbuchi neri, spiegata la nascita Con i supercomputer s’è visto che possono essere scaturiti dalla collisione e la fusione tra due galassie primordiali Un buco nero supermassiccio Un buco nero supermassiccio MILANO - Come siano nati i più grandi buchi neri del cosmo è uno dei grandi enigmi sul quale gli astrofisici si arrovellano da anni. Ora una risposta convincente è riuscita a ottenerla un gruppo di scienziati guidato da Lucio Mayer dell’Istituto di fisica teorica dell’Università di Zurigo. Mayer, che è uscito dall’Università degli Studi di Milano, attualmente insegna nell’ateneo svizzero ed è uno specialista di formazione delle galassie e dell’interazione fra di esse. Di recente ha spiegato anche l’origine delle isole stellari più deboli di forma sferoidale in relazione alla materia oscura. SUPERCOMPUTER - Per questo genere di lavori gli strumenti che consentono di immaginare che cosa succede sono i supercomputer attraverso i quali si possono simulare i complicatissimi processi che avvengono fra gigantesche masse di materia governate da imponenti forze gravitazionali. Adesso Mayer e i suoi collaboratori sono riusciti, in questo modo, a ricostruire l’origine dei buchi neri più colossali incastonati nel cuore delle galassie. E il loro risultato è stato pubblicato sulla rivista britannica Nature. Una volta i mostri del cielo, come li aveva battezzati Paolo Maffei, un grande astronomo italiano raccontandone in un libro dal titolo omonimo (Est-Mondadori) le complicate vicende, erano ritenuti casi isolati nel cosmo. Invece poi s’è constatato che la quasi totalità delle isole stellari ne nasconde uno o più di uno nel cuore più intimo; compresa la Via Lattea nella cui periferia noi abitiamo. EVOLUZIONE - Nell’evoluzione delle stelle è previsto che al di sopra di una certa massa il destino porti a creare alla fine della vita un buco nero. Ma i buchi neri più giganteschi da dove sono arrivati? Con i supercomputer s’è visto che essi possono essere scaturiti da un evento disastroso come la collisione e la fusione tra due galassie primordiali avvenuta quando l’universo era giovanissimo e aveva sono poche centinaia di milioni di anni (l’età del cosmo è di 13,7 miliardi di anni). La grande nube di gas derivata dallo scontro e con massa equivalente a milioni di volte quella del nostro sole, concentrata in una piccola regione di spazio può innescare un rapido processo di trasformazione arrivando, forse direttamente, grazie all’imponente forza di gravità, alla nascita del superbuco nero saltanto i passaggi intermedi della formazione stellare. E in poco tempo un buco nero iniziale di poche centinaia di milioni di masse solari può crescere accumulando materia conquistando una taglia di miliardi di masse solari. ONDE GRAVITAZIONALI - Secondo i modelli finora concepiti, galassie e i superbuchi neri si sviluppavano in parallelo. Ora Mayer ha dimostrato invece che questi giganteschi mostri dell’universo sono capaci di crescere molto più velocemente delle isole stellari e regolare essi stessi l’evoluzione della galassia. Il nuovo passo avanti potrebbe favorirne un altro e aiutare la ricerca delle onde gravitazionali, le quale potrebbero scaturire proprio da questi mostri. Giovanni Caprara 01 settembre 2010
2010-08-22 Sfruttato un effetto previsto dalla teoria della relatività di Einstein Materia oscura, nuovi dati grazie a una "lente" cosmica Le misure confermano che l'universo è piatto e si espanderà all'infinito sempre più velocemente Sfruttato un effetto previsto dalla teoria della relatività di Einstein Materia oscura, nuovi dati grazie a una "lente" cosmica Le misure confermano che l'universo è piatto e si espanderà all'infinito sempre più velocemente L'ammasso di galassie Abel 1689 (da Nasa) L'ammasso di galassie Abel 1689 (da Nasa) ROMA - È stata ottenuta la misura più precisa dell'azione esercitata dall'oggetto più misterioso del cosmo: l'energia oscura che costituisce la maggior parte dell'universo (il 73%) e costituisce il motore che lo fa espandere, la cui esistenza è stata prevista nel 1998. Le nuove misure, pubblicate sulla rivista Science, confermano che l'universo è piatto e che continuerà ad espandersi per sempre e sempre più velocemente. Il risultato, del 30% più preciso rispetto alle misure precedenti, è stato ottenuto da uno studio internazionale condotto fra Europa (con il Centro francese di studi spaziali Cnes) e Stati Uniti (con il Jet Propulsion Laboratory della Nasa) utilizzando una nuova tecnica di osservazione e i dati dei telescopi più sofisticati, combinati con i modelli teorici della distribuzione della materia nell'universo. LENTE COSMICA - Il passo decisivo per carpire qualche segreto dell'energia oscura è stato utilizzare il più grande ammasso di galassie conosciuto, Abel 1689, come una "lente" cosmica. Si è sfruttato cioè un effetto previsto dalla teoria della relatività di Albert Einstein, secondo il quale una galassia più vicina curva e amplifica la luce di una galassia distante, ingrandendone l'immagine come farebbe una lente. Questo permette di dedurre la geometria dello spazio che si trova tra le galassie più lontane e la Terra in quanto la distorsione della luce prodotta dalla lente corrisponde al modo in cui l'energia oscura modella lo spazio-tempo. (fonte: Ansa) 19 agosto 2010(ultima modifica: 20 agosto 2010)
2010-07-19 LO spazio visto da herschel Svelate le prime mappe del cosmo Straordinarie immagini dal più grande telescopio spaziale mai costruito LO spazio visto da herschel Svelate le prime mappe del cosmo Straordinarie immagini dal più grande telescopio spaziale mai costruito A sinistra, l'immagine di una galassia a spirale nell'ottico (sopra) e nell'infrarosso (sotto). A destra, il confronto ottico e infrarosso in una galassia ellittica (Da Inaf). A sinistra, l'immagine di una galassia a spirale nell'ottico (sopra) e nell'infrarosso (sotto). A destra, il confronto ottico e infrarosso in una galassia ellittica (Da Inaf). MILANO - Galassie antichissime, lontane 10 miliardi di anni che appaiono come gocce luminose nel buio del cosmo, il primo ritratto di una culla di stelle a soli 1.000 anni luce dalla Terra, molecole di acqua e altri composti tutti indizi dell'esistenza di pianeti nella nebulosa di Orione: sono i primi risultati scientifici del più grande telescopio spaziale mai costruito, il satellite Herschel dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa). ORIONE E I NUOVI PIANETI IN FORMAZIONE - A queste scoperte la rivista Astronomy and Astrophysics dedica una sezione speciale di 152 articoli, molti dei quali firmati anche da ricercatori italiani, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e di molte università fra cui Padova, Bologna, Milano Bicocca. Le galassie visibili nelle immagini di Herschel come dense gocce luminose sono distanti da tre a dieci miliardi di anni e sono nate quando la formazione delle stelle era molto più diffusa di oggi nell'Universo. L'incubatrice di stelle invece è vicinissima, soli 1.000 anni luce nella costellazione dell'Aquila. È così ricca di polveri che finora nessun'altro telescopio a infrarossi era riuscito a osservarla. Si distinguono 700 grumi di polveri e gas: sono embrioni di stelle, 100 dei quali già alle fasi finali della loro formazione. Il satellite ha fotografato anche la nebulosa di Orione e qui ha identificato molecole di acqua, monossido di carbonio, formaldeide, metanolo, cianuro di idrogeno, ossido di zolfo: indizi di stelle e pianeti in formazione. Con il contributo dei ricercatori italiani è stato anche risolto il mistero della polvere mancante nelle galassie dell'ammasso della Vergine. In alcune zone del gigantesco ammasso della Vergine, composto da almeno 2.500 galassie distante da noi 55 milioni di anni luce, la polvere che permea lo spazio tra le stelle, l'ingrediente fondamentale per la formazione di nuovi astri, è molto carente. PERCHE NASCONO POCHE STELLE - Un fenomeno drammaticamente evidente soprattutto nelle galassie ellittiche, già note per avere un bassissimo tasso di formazione di nuove stelle. Gli scienziati hanno dimostrato che la polvere viene sì prodotta continuamente nelle galassie ellittiche, ma non riesce a sopravvivere per più di 50 milioni di anni a causa degli urti fra i granelli di polvere e il gas caldo che permea queste galassie che disintegrerebbero nel tempo le particelle fino a farle sparire completamente. "Il telescopio Herschel sta eseguendo perfettamente i suoi compiti - ha osservato Barbara Negri, responsabile dell'Agenzia Spaziale Italiana per l'esplorazione e osservazione dell'Universo - e gli studi sulla polvere che permea lo spazio tra le stelle forniranno una prova fondamentale nella comprensione dei meccanismi di formazione di nuove stelle". (Fonte Ansa)
17 luglio 2010(ultima modifica: 19 luglio 2010)
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REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.repubblica.it/2011-08-04 Astronomia L'avventura delle due Lune così si spiega la faccia "ruvida" Nel diagramma pubblicato su Nature la simulazione delle quattro fasi della collisione tra le due "lune" Su Nature la ricerca di uno scienziato californiano. L'ipotesi è che il nostro satellite ruotasse affiancato a un gemello più piccolo. Fino alla collisione, che sarebbe all'origine della diversa conformazione della crosta lunare di LUIGI BIGNAMI L'avventura delle due Lune così si spiega la faccia "ruvida" Nel diagramma pubblicato su Nature la simulazione delle quattro fasi della collisione tra le due "lune" Un giorno molto lontano la Terra aveva due lune. Poi una impattò sull'altra molto dolcemente, quasi planando su di essa e plasmò metà della sua superficie. Questo quadro della storia del nostro satellite ha il pregio di spiegare perché la Luna, quella che oggi splende nei nostri cieli, ha due facce così diverse. Quella che è rivolta a noi infatti, è molto più ricca di pianure rispetto a quella che non si mostra mai e che è molto più ricca di altopiani. Sia la Luna che oggi vediamo che quella che non esiste più si formarono circa 4,5 miliardi di anni fa, dallo scontro tra un asteroide grande più o meno come Marte con il nostro pianeta. L'impatto originò un gran numero di piccoli e grandi oggetti che vennero sparati nello spazio. Fino ad oggi si pensava che un corpo più grande degli altri e posizionato in un punto nello spazio che non risentisse troppo della gravità terrestre, abbia attirato la maggior parte dei corpi espulsi dalla Terra, diventando via via il satellite che oggi vediamo spendere in cielo, la Luna. Ma così, secondo la nuova ipotesi, non fu, perché anche un altro oggetto andò ad accrescersi attorno alla Terra, fino a diventare un satellite naturale con una massa di circa un trentesimo di quella lunare, o, se si vuole, con un diametro di circa 1.000 km. I due satelliti iniziarono a ruotare più o meno sulla medesima orbita che però migrava via via verso l'esterno, ossia si allontanava dalla Terra. Spiega Francis Nimmo della University of California di Santa Cruz che ha pubblicato la sua ricerca su Nature: "Quando i due corpi arrivarono a una distanza di circa un terzo di quella che oggi possiede la Luna, cioè circa 10 milioni di anni dopo la loro formazione, iniziò a farsi sentire su di loro la gravità del Sole che agì su i due oggetti in modo diverso, in quanto differenti erano le loro masse. Questo ebbe come risultato lo scontro tra i due oggetti. L'impatto però avvenne molto dolcemente perché in due corpi si trovavano sulla medesima orbita". Nelle prime ore dopo l'impatto la gravità avrebbe schiacciato la luna più piccola sulla crosta di quella più grande, come fosse una grande frittella. A questa complessa ipotesi Nimmo e i suoi collaboratori sono arrivati grazie a simulazioni al computer che hanno ricostruito gli eventi che si ebbero dopo lo scontro tra l'asteroide e la Terra. E tutto ciò spiegherebbe non solo perché il lato invisibile della Luna è formato da più altopiani che non quello visibile, ma anche perché la crosta del lato nascosto possiede uno spessore di circa 50 km superiore alla crosta del lato lunare visibile.
Una spiegazione "interessante e provocatoria", l'ha definita Peter Schultz, planetologo alla Brown University di Providence (Rhode Island), perché potrebbe spiegare l'anomalia della struttura lunare, ma al momento essa va presa come un'ipotesi e solo quando avremo dati più sicuri e certi potremo avere una conferma o meno di questa tesi. La risposta potrebbe arrivare nei prossimi mesi, quando la Nasa invierà attorno alla Luna la missione Graal, progettata proprio per sondare l'interno del satellite e ottenere misurazioni molto precise della sua gravità. (04 agosto 2011)
2011-07-25 STRONOMIA Scoperta la riserva d'acqua più grande dell'universo Si trova a 12 miliardi di anni luce dalla Terra ed è un concentrato di vapore acqueo intorno a un quasar. Individuata dai ricercatori del Jet Propulsion Laboratory della Nasa e del California Institute of Technology Scoperta la riserva d'acqua più grande dell'universo L'illustrazione riproduce un quasar simile ad APM 08279+5255 (Nasa/Esa) ROMA - Scoperta la riserva d'acqua più grande dell'universo. Si tratta di un concentrato di vapore acqueo che circonda un quasar, ossia un oggetto cosmico molto primitivo e simile a un stella, e che contiene una quantità di acqua pari a 140 milioni di miliardi quella che si trova negli oceani del nostro pianeta. Si trova a 12 miliardi di anni luce dalla Terra, ed è la più distante mai osservata. La scoperta, pubblicata sulla rivista Astrophysical Journal Letters, si deve a un gruppo di astronomi del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa e del California Institute of Technology (Caltech). "L'ambiente che circonda questo quasar è davvero unico per l'enorme quantità d'acqua che produce", ha sottolineato Matt Bradford, del Jpl. "E' un'ulteriore dimostrazione - ha aggiunto - di come l'acqua pervada l'intero universo e di come sia stata presente anche nele fasi iniziali della sua formazione". Ad alimentare l'attività del quasar, indicato con la sigla APM 08279+5255, è un enorme buco nero dalla massa 20 miliardi di volte superiore a quella del Sole e che produce una quantità di energia pari a quella generata da miliardi di miliardi di stelle come il Sole. Che l'acqua potesse essere presente anche nelle prime fasi della storia dell'universo, i ricercatori lo sospettavano da tempo, ma soltanto adesso ne hanno la prova. Finora, per esempio, si sapeva che l'acqua è abbondante nella Via Lattea, dove però si trova per la maggior parte allo stato ghiacciato e in una quantità 4.000 volte inferiore a quella scoperta nel quasar. Secondo gli scienziati che hanno fatto la scoperta, l'immensa quantità di vapore acqueo, che si estende per oltre cinque milioni di miliardi di chilometri intorno al quasar, è generata dai gas caldissimi prodotti dal quasar stesso. Il gruppo di Bedford ha scoperto la riserva di acqua con il telescopio dell'osservatorio di Mauna Kea, nelle Hawaii, mentre il gruppo del Caltech, guidato da Darius Lis, ha usato l'Interferometro di Plateau de Bue, sulle Alpi Francesi. (23 luglio 2011)
2011-05-27 FISICA La massa mancante dell'universo scoperta da stagista australiana E' una studentessa 22enne alla facoltà di ingegneria di Melbourne. Gli scienziati inseguivano la soluzione del rompicapo da decenni, lei ci è riuscita in tre settimane La massa mancante dell'universo scoperta da stagista australiana da sinistra: la dottoressa Jasmina Lazendic-Galloway, Amelia Fraser-McKelvie, and il dottor Kevin Pimbblet MELBOURNE - Team di scienziati di tutto il mondo l'hanno inseguita per decenni. Ma della cosidetta "massa mancante" dell'universo nessuna traccia. L'ha invece individuata, in soli tre mesi, una studentessa di ingegneria aerospaziale dell'Università Monash di Melbourne, Amelia Fraser-McKelvie, di 22 anni, che ha condotto con astrofisici della Scuola di Fisica dell'ateneo una ricerca mirata a raggi X. La scoperta, descritta nella rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, è ancora più notevole perché Fraser-McKelvie, 22 anni, non è una ricercatrice di carriera, ma una studentessa che lavorava come stagista con una borsa di studio. Il suo relatore Kevin Pimbblet della Scuola di Fisica ha sottolineato come gli scienziati si siano scervellati per decenni sulla questione mentre lei ci ha messo solo 90 giorni. "Si pensava da un punto di vista teorico che nell'universo dovesse esserci circa il doppio della massa, rispetto a quella che è stata osservata", scrive Pimbblet nella relazione di cui è coautore. "Si riteneva che la maggior parte di questa massa mancante dovesse essere situata in strutture cosmiche di grande scala fra i gruppi di galassie, chiamate filamenti. Gli astrofisici ritenevano che la massa fosse di bassa densità ma alta di temperatura, attorno al milione di gradi Celsius. In teoria quindi avrebbe dovuto essere osservabile sulle lunghezze d'onda dei raggi X. La scoperta di Fraser-McKelvie ha dimostrato che l'ipotesi era corretta", aggiunge lo scienziato. Usando le sue conoscenze nel campo dell'astronomia a raggi X, la giovane studiosa ha riesaminato da vicino i dati raccolti dai colleghi più anziani, confermando la presenza dei filamenti, che fino allora era sfuggita. La scoperta potrà cambiare la maniera in cui sono costruiti i telescopi, sostiene Pimbblet. (27 maggio 2011) 2011-03-19 ASTRONOMIA Toccare la Luna con un dito domani lo spettacolo nel cielo Nella notte fra sabato e domenica la "luna piena gigante", un evento che si verifica ogni diciannove anni. Sarà al massimo della sua esposizione, e a una distanz di "soli" 353.400 chilometri Toccare la Luna con un dito domani lo spettacolo nel cielo Nella notte fra sabato e domenica lo spettacolo della "luna gigante" ROMA - Se il tempo sarà clemente, e le nuvole non si addenseranno a coprire il cielo come ormai da troppi giorni stanno facendo, domani sera c'è un appuntamento con uno spettacolo da non perdere: la luna piena gigante. Ma attenzione, non si tratta della cosiddetta "superluna", che secondo gli astrologi porta sventure e catastrofi. E' un fenomeno diverso: un evento astronomico che si verifica ogni diciannove anni, quando la Luna raggiunge la distanza minima dalla Terra. La caratteristica di questa volta è che la Luna, così vicina, sarà anche piena. E raggiungerà il culmine a mezzanotte. Come spiega l'astronomo Luca Nobili, dell'osservatorio di Padova dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, la Luna raggiungerà la stessa distanza minima dalla Terra che aveva raggiunto 19 anni fa ma non significa, tuttavia, che negli ultimi diciannove anni non si sia mai avvicinata alla Terra. Anzi. "Si è trovata a una distanza ancora più piccola dalla Terra nel 2008, nel 2005 e nel 1993", ricorda l'astrofisico Gianluca Masi del Planetario di Roma, responsabile del Virtual Telescope. Quindi, domani sera nessun record ma, comunque, uno spettacolo suggestivo. Con la palla bianca a una distanza di "soli" 353.400 chilometri. Dal punto di vista astronomico, spiega ancora Nobili, l'evento si spiega perché la Luna gira attorno a Terra seguendo un'orbita ellittica. "Ogni diciannove anni l'orbita si sposta per effetto delle perturbazioni causate da altre forse gravitazionali, come quella del Sole, e di conseguenza i punti nei quali la Luna raggiunge la distanza minima, ovvero il perigeo, e massima, ovvero l'apogeo, si spostano oscillando attorno a un punto medio". Domani la Luna apparirà un po' più brillante e un po' più grande: un bellissimo spettacolo, senza catastrofici effetti collaterali. (18 marzo 2011)
2010-09-22 PARTICELLE Nuovo fenomeno al Cern "Forse è materia Big Bang" Il plasma primordiale comparso subito dopo la nascita dell'universo potrebbe essere stato ricreato e osservato nell'acceleratore di particelle di Ginevra. L'esperimento coordinato da un italiano, Guido Tonelli Nuovo fenomeno al Cern "Forse è materia Big Bang" GINEVRA - Un fenomeno "mai visto finora" è stato osservato da uno dei quattro esperimenti dell'acceleratore di particelle più grande del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra. Tra le ipotesi considerate c'è quella secondo cui potrebbe trattarsi della materia primordiale, comparsa subito dopo il Big Bang. L'annuncio, dato oggi in un seminario al Cern, arriva a nemmeno sei mesi dalle prime collisioni ed è stato osservato nell'esperimento Cms (Compact Muon Solenoid), coordinato dall'italiano Guido Tonelli dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Secondo Tonelli "è molto presto per capire esattamente di che cosa si tratta. Ci sono cinque o sei diverse ipotesi e in questo momento sarebbe assolutamente prematuro trarre delle conclusioni. Quello che osserviamo è un fenomeno nuovo, che intendiamo studiare in dettaglio". L'ipotesi più suggestiva è che possa trattarsi di qualcosa di simile alla "miscela primordiale", ossia il plasma di quark e gluoni prodotto nei primi 20-30 microsecondi dopo il Big Bang. Un simile stato della materia è stato finora prodotto solo con ioni pesanti nell'acceleratore Rhic (Relativistic Heavy Ion Collider), dei Laboratori statunitensi di Brookhaven. (21 settembre 2010)
2010-09-08 Quei due asteroidi ci sfiorano nello spazio tra Terra e Luna Sono piccoli e non si vedono ad occhio nudo: tra i 10 e i 15 metri di diametro. Il passaggio tra l8 e il 9 settembre. "Nessun pericolo", dicono gli esperti di LUIGI BIGNAMI Quei due asteroidi ci sfiorano nello spazio tra Terra e Luna "ABBASSIAMO la testa", verrebbe da dire considerando che nelle prossime ore (tra l'8 e il 9 settembre) due asteroidi sfioreranno la Terra ad una distanza estremamente ridotta. Passeranno nello spazio che esiste tra il nostro pianeta e la Luna. Il primo asteroide ha un diametro di 10 metri, il secondo di 15. "Ma - dicono gli esperti del sito Spaceweather della Nasa - diciamolo subito: non ci sono pericoli di impatto con il nostro pianeta e non è in atto un particolare bombardamento di asteroidi contro la Terra. Si tratta solo di una pura coincidenza". Il primo di questi, chiamato con la sigla 2010 RF12 passerà a soli 77.000 km dalla Terra, solo un quinto della distanza Terra-Luna, il secondo invece, chiamato 2010 RX30, passerà a 231.000 km. A causa delle loro ridotte dimensioni e della velocità estrema con cui si muovono risultano impossibili da vedersi a occhio nudo e, oltre agli astronomi, solo astrofili con notevole esperienza li potranno seguire con piccoli telescopi. I due asteroidi, pur passando molto vicini al nostro pianeta, non rientrano nella categoria di oggetti definiti PHA (Potentially Hazardous Asteroids, "asteroidi potenzialmente pericolosi") i quali per poterlo essere devono avere un diametro superiore ai 100 m e devono passare in prossimità della Terra a non più di 7.500.000 km. Asteroidi come quelli che si passeranno sopra la testa nelle prossime ore infatti, avrebbero relativamente poche conseguenze sul nostro pianeta in quanto entrando nell'atmosfera dovrebbero spezzarsi in mille pezzi e quindi causare danni limitati. Il loro passaggio tuttavia, ricorda come la presenza di oggetti simili e anche con dimensioni superiori sono comunque ancora molto presenti negli spazi del sistema solare e che la loro ricerca e studio risulta fondamentale per tentare di deviarli nel caso oggetti realmente pericolosi dovessero essere in rotta di collisione con la Terra. Il primo di ottobre ad esempio, un asteroide di 2,1 km di diametro ci passerà a 12 milioni di chilometri, una distanza che in termini umani sembra enorme, ma che in chiave astronomica è comunque una nullità. Se questo asteroide fosse stato in rotta di collisione con la Terra esso avrebbe creato un cratere di 26,6 km di diametro e profondo 795 m, con conseguenze catastrofiche a livello regionale. Ad oggi sono 1.144 gli asteroidi considerati potenzialmente pericolosi e di mese in mese il loro numero cresce grazie alle ricerche oggi in atto. E' anche per questo che la Nasa sta valutando seriamente una missione robotizzata da inviare su uno di essi attorno al 2014-2015 per riportare a Terra campioni di suolo e nel 2019 far atterrare un uomo per studiare sul luogo la loro struttura e trasferire strumenti e campionare rocce. (08 settembre 2010)
2010-08-26 ASTRONOMIA Sfida ai confini dell'universo il cacciatore di antimateria Pronto a partire l'Ams. Sarà ancorato alla Stazione Spaziale. Stamattina ha lasciato il Cern di Ginevra per la base Nasa di Cape Canaveral. A febbraio 2011 il volo conclusivo della flotta Shuttle porterà lo strumento in cielo dal nostro inviato ELENA DUSI Sfida ai confini dell'universo il cacciatore di antimateria L'Ams mentre viene caricato a Ginevra sul C-5 GINEVRA - Il "cacciatore di antimateria" per ora è un gigantesco scatolone imballato, che solo per un pelo riesce a entrare nella pancia di un C-5 Super Galaxy, uno degli aerei da trasporto più grandi al mondo. Presto però questo strumento scientifico da 7,5 tonnellate di peso e oltre 1,5 miliardi di dollari di costo, costruito in 16 anni superando ogni difficoltà, non avrà più bisogno di gru per essere sollevato. Ams, l'Alpha Magnetic Spectrometer, concepito da 600 scienziati di 16 paesi, si librerà nello spazio in assenza di gravità, ancorato alla Stazione Spaziale Internazionale (Ssi). Oggi all'alba il C-5 dell'aeronautica militare Usa decolla dal Cern di Ginevra verso la base Nasa di Cape Canaveral per il suo ultimo viaggio su questo pianeta. A febbraio dell'anno prossimo il volo conclusivo della flotta Shuttle, prima del pensionamento, porterà lo strumento in cielo. Gli astronauti, fra cui l'italiano Roberto Vittori, fisseranno Ams alla Stazione Spaziale Internazionale e da lì, a 350 km di altezza, il suo occhio magnetico scruterà le galassie fino al 2028. Tra le radiazioni che viaggiano nel cosmo, lo spettrometro cercherà frammenti di materia "strana": tasselli dell'universo che sfuggono alla nostra comprensione e sulla cui natura nemmeno gli scienziati si sbilanciano troppo. "Ams - spiega Roberto Battiston dell'Istituto nazionale di fisica nucleare e dell'università di Perugia, vice-responsabile dell'esperimento - è nato per cercare l'antimateria. In realtà il suo compito è cercare "altra materia". Particelle di cui a fatica sappiamo prevedere le caratteristiche". I calcoli sulla dinamica dell'universo sono chiari: nello spazio esiste molta più materia di quella che vediamo. La parte nota (fatta degli atomi che studiamo sui libri) non supererebbe il 5% di tutto il cosmo. Il resto sarebbe composto da materia oscura (25%) ed energia oscura (70%). I magneti di Ams, che costituiscono il cuore dello strumento, sono pronti a catturare nuove particelle gettando luce su quel 95% che costituisce il lato buio dell'universo. Al progetto di ricerca l'Italia partecipa con l'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), l'Asi e una fetta di 35 milioni di finanziamento. Scoprire galassie lontane fatte di antimateria (una sorta di mondo capovolto in cui gli elettroni hanno carica positiva e i protoni negativa) potrebbe essere la scoperta più affascinante di Ams. "Ci basterebbe trovare solo uno o due nuclei di anti-elio - spiega Battiston - per arrivare direttamente al momento del Big Bang. Questi nuclei infatti possono essersi formati solo nell'esplosione primordiale". Già nel 2009 uno strumento dell'Infn chiamato Pamela aveva identificato le prime tracce di antimateria nello spazio. Ma trovare antimateria o materia oscura non è uno scherzo. Dal momento in cui il progetto di Ams è partito, nel 1994, ha dovuto superare mille difficoltà. L'ultima ieri, all'aeroporto di Ginevra. Lo strumento era troppo alto per entrare nella pancia del C-5. Per tutta la mattinata gli uomini di Nasa e Us Air Force hanno combattuto con il loro carico, eliminando vari strati di imballaggi. Nel 2003 il progetto era stato praticamente dato per morto: lo spettrometro era pronto, ma l'esplosione dello Shuttle Columbia spinse la Nasa a cancellare il volo per portarlo in orbita. Il responsabile di Ams, l'ostinatissimo Nobel Samuel Ting, è riuscito in extremis a trovare l'ultimo passaggio per il cielo sul volo di pensionamento dello Shuttle. La Nasa ha addirittura cambiato programma, rimandando il decollo, per consentire a Ting di sostituire all'ultimo momento il cuore scientifico di Ams: al posto di un potentissimo magnete superconduttore raffreddato quasi alla zero assoluto con elio liquido (destinato a consumarsi in pochi anni, e un po' troppo propenso a esplodere per essere tenuto vicino alla Stazione e al suo equipaggio) è stato montato un magnete normale, meno potente ma capace di durare quanto la Ssi. "La Nasa - ha spiegato Ting - aveva interesse ad aspettarci. Ams sarà il cuore del programma scientifico della Stazione, che è costata 100 miliardi di dollari ma è stata criticata per non aver dato risultati di astrofisica". (26 agosto 2010)
2010-08-03 ASTRONOMIA Sette pianeti per una stella Un nuovo sistema extrasolare Gli astronomi dell'osservatorio europeo Australe (Eso) in Cile hanno annunciato la scoperta di almeno cinque corpi celesti, forse sette: si tratta della struttura più simile alla nostra mai identificata finora Sette pianeti per una stella Un nuovo sistema extrasolare PARIGI - Un sistema planetario con almeno cinque pianeti in orbita intorno a una stella simile al nostro Sole, battezzata HD10180 e situata a 127 anni luce di distanza nella costellazione australe Hydrus. Gli astronomi dell'osservatorio europeo australe (Eso) a La Silla, in Cile, hanno annunciato la scoperta di quello che sembra essere il sistema planetario più simile al nostro mai scoperto finora, almeno in termini di numero di pianeti (sette, contro gli otto di quello terrestre). Per identificarli, il team internazionale ha utilizzato lo spettrografo HARPS, aggiunto al telescopio da 3,6 metri dell'Eso, e ha seguito per sei anni la stella HD 10180, "simile al nostro Sole", riuscendo a misurare le influenze gravitazionali dei pianeti che le orbitano intorno. I cinque segnali più forti corrispondono a corpi celesti simili a Nettuno (fra le 13 e le 25 masse terrestri), con periodi orbitali che vanno dai 6 ai 600 giorni. Secondo gli astronomi è probabile che siano presenti anche altri due pianeti. Uno sarebbe simile a Saturno, con una massa minima di 65 masse terrestri e un'orbita di circa 2.200 giorni. L'altro sarebbe il pianeta extrasolare mai scoperto di minor massa, circa 1,4 volte quella della Terra. Le distanze dei vari pianeti dalla loro stella sono, tuttavia, di gran lunga minori rispetto al nostro sistema: quello più piccolo, in particolare, si troverebbe a una distanza pari al 2% di quella fra la Terra e il Sole, con un periodo orbitale di soli 2 giorni. In pratica, un "anno" su questo pianeta dura solo 1,18 giorni-Terra. "Abbiamo trovato quello che è il sistema con il maggior numero di pianeti finora scoperto", ha commentato Christophe Lovis dell'Osservatorio dell'Univesità di Ginevra. "Questa notevole scoperta evidenzia anche come stiamo entrando in una nuova era nella ricerca degli esopianeti: lo studio di complessi sistemi planetari e non soltanto dei singoli pianeti. Gli studi dei moti planetari nel nuovo sistema rivelano complesse interazioni gravitazionali tra i pianeti e ci dà la possibilità di intuire l'evoluzione a lungo termine del sistema". Finora si era a conoscenza di quindici sistemi con almeno tre pianeti. L'ultimo detentore del record era 55 Cancro, con cinque pianeti, due dei quali giganti. "Sistemi di corpi celesti di piccola massa, come quelli intorno a 10180 HD, sembrano essere abbastanza comuni, ma la loro storia di formazione rimane un puzzle", conclude Lovis. Utilizzando la nuova scoperta, nonché i dati per altri sistemi planetari, gli astronomi hanno trovato un equivalente della legge di Titius-Bode, che esiste nel nostro sistema solare: le distanze dei pianeti dalla loro stella sembrano seguire uno schema regolare. "Potrebbe essere una firma del processo di formazione di questi sistemi planetari", ha aggiunto un membro del team Michel Mayor. La scoperta è stata annunciata al convegno "Rilevamento internazionale e dinamica dei pianeti extrasolari in transito" presso l'Observatoire de Haute-Provence. (24 agosto 2010)
2010-08-03 ASTRONOMIA Niente Big Bang, niente fine Nuova teoria per l'Universo Il nostro cosmo non ha avuto un momento iniziale e non morirà: è in continua evoluzione, mentre massa, tempo e spazio possono convertirsi l'uno nell'altro. Fa discutere lo studio di un ricercatore di Taiwan, che permette di risolvere molti misteri, ma presenta alcune incoerenze di LUIGI BIGNAMI Niente Big Bang, niente fine Nuova teoria per l'Universo NESSUN inizio, nessuna fine, ma un Universo in continua evoluzione, dove massa, tempo e spazio possono convertirsi l'uno nell'altro. Un Universo dunque, senza Big Bang e senza fine. Questo è il cosmo in cui viviamo, così come lo ha concepito e definito Wun-Yi Shu della National Tsing Hua University di Taiwan, che permette di risolvere molti problemi ancora aperti della teoria oggi comunemente accettata, che vuole che l'Universo in cui viviamo sia nato dal Big Bang. Nell'Universo di Shu sono quattro gli elementi in contrasto con l'attuale teoria dell'evoluzione del cosmo e che ne danno una nuova visione. Il primo: la velocità della luce e la "costante gravitazionale" non sono costanti, ma variano con il tempo. Il secondo: il tempo non ha avuto né inizio, né fine, quindi non c'è stato alcun Big Bang. Il terzo: la sezione spaziale dell'Universo è paragonabile ad una sfera a più di tre dimensioni, un'immagine inconcepibile con la fantasia umana, ma che si spiega solo matematicamente. Il quarto, infine: l'Universo vede momenti di accelerazione e decelerazione nella sua espansione. L'ipotesi di Shu vede da una nuova prospettiva le entità che stanno alla base dell'Universo, in quanto il tempo e lo spazio si possono convertire l'uno nell'altro con la velocità della luce come fattore di conversione. La massa e la lunghezza sono anch'esse intercambiabili: la conversione dipende dalla "costante gravitazionale", che è variabile nel tempo, e dalla velocità della luce, anch'essa variabile. Secondo questa nuova complessa visione, quando l'Universo è in espansione il tempo si converte in spazio e la massa in lunghezza. Quando l'Universo si contrae avviene il contrario. "Nella mia visione dell'Universo la velocità della luce è un fattore di conversione tra il tempo e lo spazio, in quanto è semplicemente una delle proprietà della geometria dello spazio-tempo", spiega Shu, il quale continua: "Poiché l'Universo è in espansione si può ipotizzare che in fattore di conversione vari in rapporto a tale espansione e dunque la velocità della luce varia con il tempo cosmico". Questa nuova concezione del cosmo in cui viviamo, tra l'altro, dà modo di spiegare la sua espansione senza ricorrere all'"energia oscura" che, secondo i canoni attuali, compone il 73% dell'Universo (il 23% è materia oscura e solo il 4% è materia ordinaria, quella di cui sono composte le stelle, i pianeti e tutto l'Universo visibile). Dell'energia oscura non si sa nulla e rimane il più grande mistero per gli scienziati. Alcune critiche, tuttavia, sono già state mosse alla nuova teoria. Le più vigorose vengono da Michael Drinkwater, astronomo alla Univesity of Queelsland, il quale sottolinea come vi siano numerose prove che la velocità della luce è costante e non cambia con il tempo come sostiene Shu. La quantità di idrogeno, elio e altri elementi presenti nell'Universo, inoltre, sono coerenti con la nascita dell'Universo attraverso il Big Bang. Un'altra problematica riguarda la "radiazione cosmica di fondo" che, nel modello del Big Bang, corrisponde alla radiazione residua delle fasi iniziali della creazione dell'Universo e ne è considerata una conferma chiave. Shu è consapevole di queste controversie, ma secondo l'astrofisico è solo una questione di tempo e anch'esse troveranno una spiegazione nell'Universo infinito. (03 agosto 2010) |
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il SOLE 24 ORE per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.ilsole24ore.com/2011-03-19 Occhio al cielo: stasera l'appuntamento con la super luna di Leopoldo BenacchioCronologia articolo19 marzo 2011 Se oggi, 19 marzo 2011, diciamo dopo le 19, vi capiterà di alzare gli occhi al cielo vedrete la Luna Piena. Se poi vi sembrerà strana o addirittura più grande di come la ricordate, bene, niente paura, non vi starete sbagliando: oggi sarà proprio un po' più grande, luminosa e bella del solito. Nessuno strano fenomeno da temere, non si è "ingrandita" veramente, semplicemente è un po' più vicina a noi della media, e quindi ci appare un po' più grande e abbastanza più luminosa. Il nostro bel satellite fa infatti un giro attorno alla Terra in poco più di 28 giorni, ma la sua orbita non è perfettamente circolare bensì leggermente schiacciata, di forma ellittica. Nel giro di un mese ora è leggermente più lontana ora è più vicina. Il punto di massima vicinanza è chiamato perigeo, dal greco, e lo raggiungeremo domani sera in concomitanza con la Luna Piena. Per la precisione alle 19:06 la Luna sarà a soli 356.578 chilometri, un valore minimo che non si raggiungeva da 19 anni, ma pur sempre normalissimo e previsto. Per avere un'idea di come è fatta l'orbita pensiamo che questo mese la massima distanza,, raggiunta il 6 marzo, è stata di 406.583 chilometri. Il cielo sarà probabilmente limpido in buona parte dell'Italia e avremo quindi una buona occasione per guardarcela con calma, dato che ci apparirà oltre che più grande, di circa il 14 %, anche più luminosa, di circa il 28%. foto Il 19 marzo la Luna sembrerà più grande del 14% articoli correlati * Ecco la foto della luna più nitida di sempre. Una cartolina da mezzo giga firmata Nasa - Video E' un fenomeno eccezionale, come qualcuno ha tentato di dire? Certamente no, la Luna si avvicina e allontana da noi ogni mese, per avere un confronto la minima distanza il mese scorso , il 19 febbraio, era di 358.251 chilometri. Poca roba quindi la differenza, parliamo di poche centinaia di chilometri su 400.000 e questo ci fa anche capire perché le varie voci di catastrofi recenti o imminenti dovute alla Luna siano fuori luogo, ce ne dovrebbero essere ogni mese! In pratica poi non esistono due "lune piene" eguali fra loro, per dirla in parole povere, sempre simili ma mai eguali. Un' occasione da non sprecare comunque per alzare gli occhi verso il cielo e se vogliamo identificare qualche cratere, magari con l'aiuto anche di un modesto binocolo, una dei migliori atlanti lunari è sulla rete a questo indirizzo.
2010-03-01 Ecco la foto della luna più nitida di sempre. Una cartolina da mezzo giga firmata Nasa - Video di Leopoldo BenacchioCronologia articolo26 febbraio 2011Commenta * Guarda i video * Guarda le foto * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2011 alle ore 17:52. * * * * La Nasa regala mezzo gigabyte di Luna. E' l'immagine complessiva del nostro satellite più dettagliata mai realizzata. Per metterla insieme la sonda Lunar Reconnaissance Orbiter, Lro, ha impiegato due settimane, lo scorso dicembre, inviando a Terra oltre 1300 immagini parziali. In seguito, con un certosino lavoro di collage, le immagini singole sono state messe insieme a formare un mosaico di 24.000 x 24.000 pixel , complessivamente oltre 500 Megabytes. Un dato questo decisamente "spaziale". Le singole immagini sono state riprese dalla camera fotografica del Lunar Orbiter, un vero gioiello tecnologico che riesce a riprendere il suolo lunare con un dettaglio di mezzo metro per pixel, un record assoluto, facilitato anche dal fatto che il satellite madre su cui è montata la camera da metà del 2009 sta girando attorno alla Luna ad una altezza molto bassa: soli 50 chilometri dalla superficie. Per avere un'idea del dettaglio basta pensare che sono stati ritrovati i punti di atterraggio delle varie missioni Apollo, negli anni '70 del secolo scorso, ad iniziare da Apollo11. Ovviamente lo scopo della missione di LRO non è produrre immagini belle ma poco utili, al contrario la sonda sta mappando con una precisione insuperata tutto il suolo lunare ed anche producendo l'altimetria del nostro satellite per consentire la scelta più oculata per le prossime missioni sulla Luna, siano esse robotiche che, forse, umane. L'immagine che diamo è ridotta in dimensione, ma può essere benissimo utilizzata per osservare la Luna con un normale binocolo anche di modesti ingrandimenti. Ricordiamo che quello usato da Galileo Galilei nel 1609 per scoprire monti e valli lunari e veder scorrere le ombre nei crateri del nostro satellite, oltreché avere lenti di pessima fattura, aveva solo 8 ingrandimenti! Chi avesse, assieme alla voglia di avere l'immagine completa da mezzo gigabyte, anche una buona linea adsl e un computer piuttosto potente può andare a questo indirizzo: http://lroc.sese.asu.edu/data/pr/tiff/wac_nearside.tif
2011-02-02 Scoperto piccolo sistema solare con sei pianeti a duemila anni luce dalla Terra di Leopoldo BenacchioCronologia articolo2 febbraio 2011 * Guarda i video * Guarda le foto * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2011 alle ore 21:45. * * * * Una stella molto simile al Sole ed intorno a lei 6 pianeti che ruotano, un vero e proprio Sistema solare. Ma non è certo il nostro, dato che sta a 2.000 anni luce dalla Terra, una distanza enorme su scala umana, ma molto piccola i termini astronomici. La stella si chiama Kepler 11e la scoperta del sistema di sei pianeti, tutti piccoli e alcuni con caratteristiche di tipo terrestre, è riportata nella rivista Nature del 3 febbraio. Una scoperta certo importante per l'astronomia, e per la scienza in generale, ma quasi quasi ancor di più per il nostro immaginario: un altro piccolo forse ma significativo passo nel cammino per trovare quello che tutti noi in fondo ci aspettiamo, o temiamo: un'altra Terra. Il primo pianeta orbitante attorno ad una stella diversa dal Sole fu scoperto nel 1995 e sono oramai più di 500 i casi noti e studiati di stelle con almeno un pianeta che gli orbita attorno. Tuttavia i casi di sistemi multipli di pianeti, confermati, sono pochissimi, meno delle dita di una mano, e nessuno è stato determinato con il livello di sicurezza e accuratezza di questo studio. A studiare i dati presi dal satellite Kepler della Nasa, spedito in orbita proprio per scovare pianeti extrasolari in stelle a noi vicine, è stato un gruppo di una ventina di astrofisici europei e statunitensi guidati da Jack Lissauer della Nasa. E ci hanno messo molti mesi sia perché si tratta di misure delicatissime, in cui l'errore di interpretazione è in agguato ad ogni angolo e sia per l'eccezionalità del caso cui si sono trovati davanti. I sei pianeti sono in realtà tutti molto vicini alla stella madre, il più distante sta a 70 milioni di chilometri la metà della nostra distanza dal Sole. I cinque più vicini alla stella sono relativamente piccoli, di massa e raggio comparabili, o leggermente maggiori a quelli terrestri. Il sesto invece rimane parecchio più distante dalla stella e probabilmente ha massa molto maggiore, un centinaio di volte. I primi cinque ruotano attorno alla stella in un periodo piuttosto corto, da 10 a 47 giorni, il sesto invece in 118. I primi due sono probabilmente rocciosi mentre gli altri hanno senz'altro un'importante componente di ghiacci e un inviluppo gassoso esteso, come Saturno o Urano per fare un parallelo, anche se sono molto più piccoli. Il tutto porta a considerare che il sistema sia stabile e oramai, come il nostro Sistema solare, molto avanti nella sua evoluzione. Come si scovino questi sistemi è in realtà semplice da descrivere: se una stella ha un pianeta che gli ruota attorno e se siamo fortunati, nel senso che questo si interpone fra noi e la stella ,avremo una sorta di periodica mini eclisse. Allora osservando costantemente la luminosità di quella stella dovremmo accorgerci se cala e ricresce con regolarità. In sostanza l'esempio che possiamo fare è quello di un lampione stradale che ci sarà capitato di vedere in lontananza magari d'estate. Se vediamo tremolare leggerissimamente la luce è possibile che una farfalla notturna, o un pipistrello, gli stiano girando attorno. Quello che è logicamente semplice diventa tremendamente complicato nella pratica perché i segnali sono debolissimi, la diminuzione di luminosità della stella madre può essere di un millesimo solamente e, soprattutto, essere dovuta ad altre cause, come ad esempio il fatto che la stella varia la sua luminosità perché pulsa con regolarità o essere parte di un sistema di due o più stelle che ruotano attorno una all'altra, eclissandosi. Occorre quindi escludere tutte le "altre" cause per arrivare al dunque: si tratta di un pianeta che orbita attorno alla stella. Figuriamoci quindi il caso cui si sono trovati davanti gli astrofisici: una matassa di segnali che stavano a segnalare la presenza di ben sei pianeti. Come detto il caso in cui ce ne sia più di uno in gioco è particolarmente importante dato che ci permette di calcolare le masse dei pianeti stessi, il loro diametro e la forma e inclinazione delle loro orbite. Una serie insomma di informazioni preziosissime quanto, finora, rare da avere. La sonda Kepler ha un telescopio a bordo relativamente modesto, 0.95 metri di diametro, ma collegato a una fotocamera molto sensibile e continuerà a seguire questo sistema planetario. In effetti sta tenendo sotto osservazione già centinaia di stelle "candidate" ad avere attorno pianeti. Risultati ottimi quindi per questo affascinante campo di ricerca, ma nonostante questo la Nasa ha purtroppo recentemente cancellato la missione che doveva seguire Keplero, per i costi miliardari. Si spera però che subentri un progetto europeo per un satellite che porti a bordo un telescopio dedicato a queste ricerche di mondi attorno ad altre stelle. Il suo nome è Plato. "L'Agenzia Spaziale Europea, Esa, ha dato finora il via libera a questo progetto - dice Giampaolo Piotto dell'Università di Padova, responsabile scientifico dell'impresa- che comunque avrà caratteristiche di maggior competitività. Cercherà in un area di cielo 400 volte maggiore di quella che sta scandagliando il satellite Nasa Kepler e avremo una rete di telescopi a terra per la conferma di quanto si osserva dallo spazio". Alla scoperta della "nuova Terra" potremmo quindi arrivare noi europei. Bilanci delle Agenzie spaziali permettendo.
2011-01-11 Ecco Planck, il catalogo che ci aiuterà a capire le origini dell'Universo di Leopoldo BenacchioCronologia articolo11 gennaio 2011 * Guarda i video * * * * Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 19:42. * * * * Da oggi, 11/1/2011, data molto cara ai numerologi che cercano sempre ricorrenze strane, c'è in rete un nuovo tesoro, anzi una vera e propria miniera di tesori. Si tratta del catalogo preliminare dei dati del satellite europeo Planck, un catalogo di dati per astrofisici specialisti, ma che rappresenta un notevole balzo in avanti per la conoscenza del nostro Universo. Ed è solo l'inizio perché il satellite è a metà circa del suo lavoro che terminerà, fondi permettendo fra un paio di anni. Poi ce ne vorranno anche una diecina per pulire e analizzare a fondo la massa enorme di dati che Planck sta trasmettendo. Il suo scopo principale è capire le origini dell'Universo, analizzando, con una precisione assolutamente da primato, la radiazione di fondo a microonde, più nota alle cronache come radiazione fossile. È quel che rimane dei primi segnali elettromagnetici emesso dopo il Big Bang, 300.000 anni circa dopo l'inizio. Prima non c'era materia che potesse emettere radiazione. Dato che l'Universo, da allora, si è espanso fino a più di 13 miliardi di anni luce, almeno quello che vediamo, pure questa radiazione ha douto espandersi e quindi si è pure raffreddata fino quasi allo zero assoluto, solo 2.73 gradi sopra. Però è dappertutto, anche nello spazio che sta fra gli occhi di chi sta leggendo e lo schermo. Certo non la possiamo vedere perché sono microonde. È in sostanza un'eco estremamente flebile di quel lontanissimo fenomeno. Migliaia di sorgenti di radiazione a microonde Il catalogo preliminare contiene migliaia di sorgenti di radiazione a microonde, sia appartenenti alla nostra Via Lattea, che al di fuori di essa, fa vedere per la prima volta sotto nuova luce alcuni importanti fenomeni, come i nuclei di stelle in formazione quando sono ancora "freddi", subito prima di innescare le reazioni nucleari che le sosterranno per miliardi di anni magari, come per il nostro Sole. Ed ancora: ammassi di galassie, almeno 189, di cui 20 finora sconosciuti, nubi di nanopolveri in cu ogni granello ruota a velocità incredibili, e soprattutto, ed ui la scoperta più intrigante, il fatto che la nostra Galassia è circondata, sopra e sotto il piano galattico, da due nubi di gas oscuro, idrogeno che non emette radiazione di altro genere, che prima non si era mai visto in altro modo. Come se ad una zattera, la Via Lattea che conosciamo, piovesse polvere per la formazione di nuove stelle sia "da sopra" che "da sotto". Ed il bello è che questi risultati sono un po' dei dati "di scarto", come il materiale di recupero di uno scavo archeologico. La radiazione di fondo è infatti sepolta sotto una quantità enorme di segnali molto, molto più forti, come quelli di tutte le stelle e nebulose della nostra Via lattea, quelle delle altre galassie, ammassi di galassie, sorgenti lontanissime e potentissime di tutti i tipi. È un lavoro incredibile di ripulitura, un po' come trovare un bisbiglio soffuso e debolissimo in una piazza piena di gente che parla, discute, urla, suona la tromba e così via. Questo catalogo preliinare è quindi la prima ripulitura, che contiene già informazioni incredibilmente preziose per l'astrofisica. Astrofisici molto interessati ai dati di Planck "Gli astrofisici sono chiaramente molto interessati a questi dati", dice Luigi Danese, della SISSA, la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, uno dei "padri" della partecipazione italiana a Planck, iniziata ben 18 anni fa. Lui invece è un cosmologo, ovvero "ricostruisce universi" e quindi è interessato ad arrivare, il prima possibile, all'ultimo "strato" dello scavo, quello in cui finalmente si avrà la mappa della radiazione di fondo "pulita" da tutti gli altri segnali dovuti a stelle, galassie e altri corpi celesti con una precisione assai superiore a quella dei satelliti che hanno preceduto Planck, come l'americano WMAP. "Ma comunque ci diamo una mano uno con l'altro - continua Danese - dato che i risultati che raggiungiamo noi, almeno speriamo, saranno fondamentali per capire meglio come si sono formate poi le galassie e stelle che ora il catalogo inizia a fornirci ed anche viceversa". Una sorta di gara insomma, a chi arriva prima, ma comunque su basi collaborative, come usa oggi nell'epoca dello web 2.0. Il catalogo, un vanto di tecnologia, scienza e industria europea I risultati scientifici sono stai illustrati durante una affollatissima conferenza stampa all'Agenzia Spaziale Italiana. ASI, dal responsabile di uno dei due strumenti a bordo del satellite Planck, Reno Mandolesi dell'Istituto di Astrofisica e Fisica cosmica di Bologna. Peraltro, a sottolineare l'importanza dell'evento, la conferenza stampa era in contemporanea, o quasi, ad altre simili a Parigi, Copenaghen e Seattle. D'altronde Planck è veramente un vanto di tecnologia, scienza ed industria europea, che, come ha ricordato Fabio Favata di ESA, Agenzia Spaziale Europea, ha saputo negli ultimi 20 anni portarsi al livello di leader mondiale in vari campi della ricerca scientifica dallo spazio "100 Istituti di ricerca ed Università in 11 Paesi europei stanno a dimostrare la complessità di questa straordinaria macchina e, al tempo stesso cosa riesce a fare l'Europa quando le tre componenti, scienza, industria ed agenzie spaziali, lavorano assieme ed all'unisono". E per la parte italiana, oltre al finanziatore, l'Agenzia Spaziale Italiana che dedica alla parte scienza circa un terzo del suo bilancio annuo, 200 milioni, soddisfattissima, come riportato dal suo Presidente, Enrico Saggese, per i risultati ottenuti in campo internazionale grazie a questa missione, hanno lavorato un centinaio di ricercatori e tecnologi di una diecina di Enti di ricerca ed Università, oltre a Thales Alenia Space di Torino e Milano, che hanno curato il payload e lo strumento a responsabilità italiana, la Pasquali Microwave System, una PMI che ha curato le delicate guide d'onda dello strumento e Galileo che ha invece garantito il raffreddamento estremo del secondo strumento a bordo di Planck. Oltre un anno e mezzo in volo in uno dei punti più freddi sistema solare Il satellite sta volando da oltre un anno e mezzo, in uno dei punti più freddi, ma anche più stabili, del sistema Solare, L1, un cosiddetto punto Lagrangiano, dato che li ha scoperti, con la matematica e non con il telescopio, il grande matematico e astronomo francese Lagrange. Lì, a 270 gradi sotto lo zero, la stabilità è massima perché le forze di attrazione del Sole, Terra e Luna si equivalgono, come se tre omoni robusti tirassero tre corde diverse ma nessuno riuscisse ad avere la meglio. Come se fosse una telecamera che ruota continuamente sta "girando" il film dell'Universo coprendo tutta la sfera solida che vede dal suo punto di vista, siamo ora al terzo giro, da completare, dei quattro previsti. Prossimi risultati ? "Avere la mappa della radiazione di fondo – continua Danese – e poterla studiare assieme alla sua eventuale polarizzazione. Questo potrebbe farci capire cosa è successo "prima" dei 300.000 anni, dato che potremmo ritrovare i segni di onde gravitazionali, provocate dalla materia che esisteva prima anche se non emetteva radiazione". Perchè spendere 500 milioni di euro per capire come è "nato" l'Universo Ma perché infine spendere tutti questi quattrini, 500 milioni di euro di cui 29 forniti dall'Italia, per capire come è "nato" l'Universo, se mai poi questo è accaduto? "Al di là della curiosità naturale che ha sempre portato l'uomo a voler capire le proprie origini dobbiamo pensare che solo nell'Universo possiamo trovare energie e fenomeni che ci permettono di andare avanti nella conoscenza della fisica di base. Si tratta di fenomeni che mai in laboratorio potremmo studiare, è l'Universo il vero ed estremo laboratorio" da cui, sembra concludere Danese, poi discende la tecnologia utile nella vita quotidiana. Effettivamente, chi scopri l'elettrone oltre un centinaio di anni fa certamente fu tacciato di "inutilità", ora magari dalla produzione e trasmissione della corrente elettrica ai computer , telefonini e tutta l'elettronica quella scoperta magari ci fa parecchio comodo.
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